Extracosti di Expo, partita ancora aperta: è stretta finale sui maxi-appalti

Dalle vie d’acqua alla piastra, si cerca l’accordo con i costruttori

Padiglione Bielorussia: è stata smontata la ruota del mulino

Padiglione Bielorussia: è stata smontata la ruota del mulino

Milano, 8 gennaio 2016 - Ancora per venti giorni al timone di quel che resta dell’Esposizione universale di Milano, il commissario Giuseppe Sala lavora alla stretta finale sui dossier principali dell’evento. A cominciare da quello degli extra-costi per quattro maxi-appalti. Un risultato che il numero uno di Expo insegue da un anno circa, ma che ogni volta si allontana. A settembre sembrava chiuso almeno il capitolo di Palazzo Italia, poi a ottobre 500mila euro di lavori aggiuntivi hanno riaperto il fascicolo. Così come non è ancora arrivato un verdetto definitivo per la transazione con Maltauro su vie d’acqua e aree di servizio, con Mantovani per la piastra (l’ossatura su cui poggiano i padiglioni) e con la Cooperativa muratori e cementisti (Cmc) per la rimozione delle interferenze (la pulizia dei terreni prima della costruzione). Il commissario assicura che i conti dell’evento sono in ordine. «Nel preconsutivo il numero che conta è il patrimonio netto finale di 14 milioni di euro – spiega –. In quel numero c’è dentro lo scenario peggiore anche rispetto alla conclusione delle singole transazioni». 

Per procedere serve il semaforo verde da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), guidata da Raffaele Cantone, e dall’Avvocatura di Stato. Nei giorni scorsi Expo ha spedito ai due uffici l’ipotesi di accordo con Mantovani, che nel 2012 si era aggiudicata l’appalto da 165 milioni di euro con il 41,8% di sconto, salvo poi chiedere integrazioni al conto finale. Anche con Maltauro sarebbe già tracciata una proposta per saldare i lavori, spendendo 10 milioni di euro per le vie d’acqua e 60 milioni per le aree di servizio. Le intese, insomma, ci sono, ma non le firme definitive. E le partite, che Cantone avrebbe voluto chiudere prima dell’inizio di Expo e poi entro la fine, si trascinano ancora.

Così come non è ancora terminata la raccolta di fondi con cui gli «Amici del padiglione Usa», l’ente no-profit che ha gestito la partecipazione degli Stati Uniti a Expo, sta colmando le spese lievitate durante il semestre. Washington non partecipa ai costi e l’associazione aveva raccolto i 35 milioni necessari all’inizio da una serie di sponsor, a cui ora sta bussando per ottenere la somma aggiuntiva. Così procede a rilento lo smontaggio del padiglione, anche se l’azienda costruttrice, la svizzera Nussli, preferisce non commentare la vicenda. Ieri sulla scrivania del commissario Sala è arrivato il primo rapporto sulle demolizioni nel sito di Rho. «Circa venti Paesi sono nei tempi», anticipa Sala. Come Austria, Malesia, Turchia, Olanda e Lituania. E altri quindici si sarebbero detti disponibili a lasciare il proprio padiglione in eredità. Mentre, tra gli altri, le ruspe di Argentina, Azerbaijan, Cina e Sudan sono ancora ai blocchi di partenza.

luca.zorloni@ilgiorno.net

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