Narcotizzata e violentata, colloquio choc tra due stupratori "Siamo qui per cosa... ?"

Intercettati in carcere. Così i carabinieri hanno incastrato il branco

Uno dei tre uomini versa la droga dello stupro nel drink offerto alla vittima

Uno dei tre uomini versa la droga dello stupro nel drink offerto alla vittima

Milano, 19 gennaio 2018 Impermeabili al pentimento. Insensibili a qualsiasi rimorso di coscienza. Sordi a quella parola «Basta» sussurrata da una ragazza stordita da una dose massiccia di benzodiazepine e incapace di opporre una seppur minima resistenza alla loro violenza. Il ritratto di  due dei tre presunti stupratori arrestati due giorni fa dai carabinieri della Compagnia Monforte, emerge da un’intercettazione ambientale in cui sono proprio loro due a parlare. È il 6 dicembre scorso, il 28enne nato nel Pavese ma cresciuto nel quartiere Calvairate e il 21enne con due lacrime tatuate sotto l’occhio sinistro (che si fa chiamare «Tyson» sul profilo social condiviso con la fidanzata) leggono e commentano l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Giovanna Campanile che li ha portati a San Vittore qualche settimana prima: «Lacerazioni? – si stupisce il primo – Come fanno a esserci lacerazioni con i preservativi! Ma stiamo scherzando!». E ancora: «Cioè tutto questo per una sco... eh!»; con il complice che aggiunge «Per una sco... del c...!». Il giorno dopo: «Uno stupratore non usa i preservativi, uno stupratore non ti vuole portare al pronto soccorso, stiamo scherzando... uno stupratore non vuole parlare con tua mamma per arrivarci». Frasi choc, seguite da commenti altrettanto irripetibili sulla loro vittima. Poi, ed è quello che più interessava agli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Maria Letizia Mannella («Hanno trattato la donna come selvaggina da cacciare, difficilmente dimenticherò questa vicenda», ha commentato ieri) e dal pm Gianluca Prisco, i due iniziano a parlare del terzo uomo. È  un 47enne di San Donato Milanese: i militari sanno benissimo che quella sera c’era pure lui (lo attestano immagini delle telecamere del pub e analisi delle celle telefoniche); di più, sanno che tutto si è svolto in un appartamento della brianzola Bellusco di cui risulta proprietario. Mancano, però, le prove biologiche: non ci sono tracce su slip e indumenti di Cristina (nome di fantasia), non c’è la certezza che abbia partecipato alla violenza di gruppo.

I riscontri decisivi arrivano anche dalle conversazioni tra i due reclusi nella stessa cella: «Anche lui l’ha “salutata” no? Quindi ci dovrebbe essere il suo Dna! Delle impronte, no?», domanda il primo. «Be’, comunque lui l’ha baciata. Gli ha dato un bacio. Comunque... Lui non c’era e questa cosa non si può dire». Parole (vi risparmiamo quelle più esplicite) che, per gli inquirenti, lasciano chiaramente intendere «senza ombra di dubbio che anche l'altro amico aveva avuto un rapporto sessuale con la vittima». Nonostante quest’ultimo l’abbia negato più volte al telefono con la moglie, nel giorno in cui sono stati bloccati gli altri due, il 30 novembre: «Io non ho fatto assolutamente niente, te lo giuro su Dio, te lo giuro sul bambino, lo giuro su tutto», replica alla compagna che lo incalza. Una menzogna, secondo quanto ricostruito dalle indagini dei carabinieri. Così l’altroieri pure il 47enne è finito in cella, con le stesse accuse dei primi due (rischiano una condanna più pesante perché entrambi recidivi): violenza sessuale aggravata dall’aver utilizzato sostanze narcotiche e dall’aver commesso il fatto su una persona sottoposta a limitazione della libertà personale.

Prima hanno drogato le bevande di Cristina con dosi da cavallo di tranquillanti (rilevati valori quattro volte superiori al limite massimo), trascinandola in uno stato di semi-incoscienza e amnesia. Poi l’hanno convinta a salire in macchina con la scusa del karaoke e l’hanno portata in un’abitazione nel Vimercatese per abusare di lei ripetutamente. Senza alcuna pietà.

 

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