Rosanna e Tiziana, filo rosso tra i due femminicidi: slot, depistaggi e tracce cancellate

La lucidità dei killer. E la costante dei soldi sperperati alle macchinette

Rosanna Belvisi e Tiziana Pavani, vittime di femminicidio a Milano in pochi giorni

Rosanna Belvisi e Tiziana Pavani, vittime di femminicidio a Milano in pochi giorni

Milano, 17 gennaio 2017 - Giocare alle slot dopo aver commesso un omicidio. Come se nulla fosse. Per tentare la fortuna o per crearsi un alibi. Un punto di contatto che mette in relazione i due delitti milanesi avvenuti a distanza di poco più di tre giorni: la notte di giovedì 12 Tiziana Pavani è stata uccisa a colpi di bottiglia in testa nella sua casa di via Bagarotti, quartiere Baggio. Domenica, Rosanna Belvisi è stata accoltellata nel suo appartamento di via Coronelli, zona Lorenteggio. Vite spezzate da uomini violenti. Un 32enne tossicodipendente il primo fermato per omicidio, che aveva conosciuto Tiziana quasi 5 anni fa. Lei, segretaria in un asilo, stava cercando di aiutarlo. Un marito manesco e non nuovo a scenate di gelosia il secondo, di 53 anni. Entrambi hanno abbandonato subito il luogo della mattanza. Entrambi, tra le diverse azioni che hanno dichiarato di aver compiuto dopo i delitti, hanno giocato alle slot machine. Luca Marcarelli, il 32enne, ha lasciato la povera Tiziana sul letto, le ha rubato il bancomat (e si è portato via pure i suoi due cellulari), ha prelevato 500 euro e li ha spesi tutti il giorno dopo tra sigarette, gratta e vinci, ricariche telefoniche e macchinette. Luigi Messina, il marito di Rosanna, è uscito di casa dopo averla colpita con almeno 23 fendenti su tutto il corpo. Ha raccontato di aver prelevato 50 euro al bancomat, di aver giocato alle macchinette e di aver vinto 70 euro.

«Luigi era molto irascibile - racconta Nicola, un residente del quartiere -, una volta ha minacciato un uomo in un bar, lo ricordo bene perché era la mattina di Natale di qualche anno fa. “Ti ammazzo di botte”, gli ha detto, perché voleva si spostasse da una macchinetta del videopoker che secondo lui era vincente. Il poveretto si è rifugiato dietro il bancone«. Li immaginiamo, i due, mentre vagano per strade note, si fermano in luoghi familiari. Messina addirittura stringe mani, si ferma a chiacchierare con tutti gli amici e i conoscenti che incontra. Vuole costruirsi un alibi di ferro. Prima della passeggiata, però, si dirige a due chilometri da casa, in via Parenzo, a due passi da piazza Negrelli, per disfarsi del coltello (che getta in un tombino) e dei vestiti intrisi di sangue (che abbandona in un boschetto, vicino ad altri rifiuti).

I vestiti. Secondo punto di contatto: tutti e due stanno molto attenti agli indumenti. Messina se ne disfa subito dopo il delitto, Marcarelli se li toglie addirittura prima di colpire. «Prima di colpirla mi ero levato i vestiti per non sporcarmi. Ero rimasto in mutande», sottolinea durante l’interrogatorio. E poi, tornato a casa, ripone jeans e mutande nel cesto della biancheria da lavare. C’è una terza analogia: il depistaggio. Se Messina cerca di sollevarsi da ogni responsabilità gettando via l’arma e i vestiti, Marcarelli partorisce qualcosa di molto più pericoloso: lascia il gas aperto in casa di Tiziana. «L’idea era cancellare le prove con l’incendio della casa. Il mio cervello in quel momento era completamente in pappa». Fortuna che il vicino di casa che ha scoperto il corpo della donna senza vita, giovedì sera, ha avuto l’accortezza di non accendere le luci e di chiudere subito la manopola.

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