L’allievo e il 'Signor Marchesi': "Con lui il popolare era eleganza"

Daniel Canzian lo affiancò a Erbusco e Milano: tutti gli dobbiamo molto

CUOCO Daniel Canzian allievo di Gualtiero MarchesiUNITI Daniel Canzian e Marchesi

CUOCO Daniel Canzian allievo di Gualtiero MarchesiUNITI Daniel Canzian e Marchesi

Milano, 28 dicembre 2017 - Lo chiama ripetutamente «Signor Marchesi» e s’intuisce che non è solo reverenza e rispetto formale. C’è l’omaggio, c’è la fortuna di avere lavorato con lui per molto tempo, c’è la convinzione che nulla sarebbe stato come oggi appare, appunto, senza il «Signor Marchesi». Viso e carattere da bravo giovanotto veneto, tutto pragmatismo e rigore, Daniel Canzian è lo chef, anzi il «cuoco», che più di altri ha vissuto al fianco del grande maestro della cucina italiana, otto anni o giù di lì, executive chef all’Albereta di Erbusco in Franciacorta e al «Marchesino», a ridosso della Scala, bistrot di charme, gusto e belle maniere nel cuore di Milano.

«Qualcosa dovremo fare – attacca Canzian –: gli dobbiamo tutti qualcosa. Ogni ristorante italiano dovrebbe sentirsi onorato di mettere in carta un suo piatto. E ogni cuoco sentirsi fiero di avere subìto il suo fascino».

Choc e gratitudine...

«Un dolore immenso. Se ne va l’uomo che era capace di dare motivazioni a tutto e di farlo invitando a riflettere, perché il pensiero – sosteneva – è quello che conta. Era un uomo di cultura ed è stato l’apripista, in grado di tracciare un percorso per l’intero mondo della ristorazione».

Innovatore senza stravolgere le radici...

«Era stata la sua grande intuizione e la sua rivoluzione di fronte a chi tentava di stravolgere la tradizione. La sua idea era chiara: enfatizziamo al massimo la cucina vera, quella italiana, certo, contando anche sulle competenze tecniche di cui oggi disponiamo».

Lei l’ha realizzato i suoi piatti più iconici centinaia di volte al Marchesino.

«È così. Ed era un’emozione quando Marchesi veniva in cucina per parlare delle ricette e per confrontarsi sull’estetica. Lo ha fatto anche in anni più recenti, venendo a cenare nel mio ristorante in zona San Marco e non lesinando consigli e incitazioni. Mi mancherà. E a ora sento il profondo bisogno di fare qualcosa che lo ricordi».

Un modo per ringraziarlo.

«Lo farò a modo mio. Raccontando in sala, ai commensali, cosa è stato Marchesi e come ha influenzato la mia e la nostra vita. Gli dedicherò la mia cucina. E credo che tanti miei colleghi oggi sentano il bisogno di esprimergli gratitudine».

Marchesi più forte della caducità?

«Basta un solo piatto per spiegare il suo miracolo: il famoso risotto giallo. Geniale: con un’elegante foglia d’“oro alimentare” era riuscito a rendere in maniera colta e raffinata un piatto nazional-popolare. Lo ha reso intramontabile. In un certo senso, immortale».

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