Il cantautore Bugo stregato da Milano: "Qui la Mecca della musica"

L’artista Cristian Bugatti racconta il suo percorso per arrivare al top e l’amore per la metropoli: "Posso uscire quando voglio per comprare o bere qualcosa e mi muovo bene con i mezzi pubblici" di MASSIMILIANO CHIAVARONE

Cristian Bugatti

Cristian Bugatti

Milano, 9 aprile 2016 - «Milano è la Mecca della musica». Lo racconta il cantautore Cristian Bugatti, in arte Bugo. «Quando lavoravo in fonderia il mio pensiero fisso era di sfondare in questa città».

Faceva il metalmeccanico?

«Sì, in una fabbrica del novarese. Sono nato a Rho, ma poi i miei si sono trasferiti a S. Martino di Trecate, vicino Novara. Mia madre è nata a Milano, ma la famiglia è di origine potentina, mentre mio padre è di Lumezzane nel bresciano. Dopo il liceo scientifico ho fatto il militare e finita la leva sono andato in fabbrica, facevamo panetti di ottone. Era dura, ma la musica mi faceva andare avanti».

Ha studiato qualche strumento?

«Ho imparato la chitarra quando facevo il soldato. Poi ho cominciato a scrivere canzoni. Suonavo in un gruppo, facevamo le cover dei grandi successi. I miei miti erano Vasco, i Rolling Stones, gli Oasis e Celentano di cui resto un grande estimatore. E sognavo Milano».

Non c’era verso si doveva trasferire.

«Sono arrivato qui nel 1999, a 26 anni. Avevo da parte circa 2 milioni di vecchie lire che ho investito nell’affitto di un monolocale e nel far fronte alle prime spese sperando di ingranare. Ma non pensavo certo a dove dormire, volevo suonare. E ho cominciato ad esibirmi in alcuni locali sui Navigli, tra cui “La Cueva”. Suonavo “Dieci ragazze per me” di Battisti e i miei pezzi. Avevo materiale già per due dischi e infatti in meno di un anno avevo pubblicato il mio album d’esordio “La prima gratta” per un’etichetta indipendente “Bar La Muerte”. Subito dopo è venuto il secondo e nel 2002 la firma con la Universal: avevo conquistato una multinazionale e coronato il mio sogno».

E con il successo diceva Liz Taylor “si perde anche l’anonimato e bisogna difendere la propria privacy”. E’ anche il suo caso?

«Vivo il mio successo come un percorso. Il mio è iniziato nel 1995 e mi ha portato a suonare in molti posti. E mi ha fatto apprezzare la vita in città, in particolare a Milano. Adoro questa metropoli, posso uscire quando voglio per comprare o bere qualcosa, mi muovo benissimo con i mezzi, non uso neanche la bicicletta. Non rimpiango la vita di campagna».

Insomma in questo non è un ragazzo della via Gluck. Qual è la via di Milano che preferisce?

«La via Pietro Crespi, nei pressi di via Padova, quello che ora chiamano NoLo, cioè North of Loreto. E’ un quartiere della vecchia Milano, multietnico, ora più tranquillo rispetto a qualche anno fa. Ci sono belle case di inizio ‘900 e altre che ricordano il passato industriale. In questa zona vivo con mia moglie Elisabetta, una diplomatica di origine polacca, in un appartamento che ho acquistato nel 2010, in uno stabile ristrutturato ricavato da una ex fabbrica e la particolarità che apprezzo è che i progettisti hanno lasciato all’interno una carrucola gigante che rimanda all’origine operaia del complesso. Mi sembra di vivere in un borgo con i negozietti e le osterie aperte fino a tardi e poi vicino c’è il parco Trotter, ben tenuto, dove vado spesso a correre».

Qual è la Milano che canta nei suoi dischi, per esempio nell’ultimo “Nessuna scala da salire” in uscita in vinile il 15 aprile (Carosello Records)?

«Una Milano che abbraccia, in cui è facile socializzare. Per esempio nel singolo “Me la godo”, dico che bisogna smettere di avere paura e assorbire l’ottimismo di questa città. A Milano me la godo perché si può sognare. Questo album poi è proprio “milanese”, registrato nel Mono Studio di Porta Ticinese».

A Milano non c’è “nessuna scala da salire”?

«Qui ho fatto la mia gavetta, ma la vita a Milano ti spinge a migliorarti».

Cosa farebbe per migliorare Milano?

«Velocizzare i lavori per la metropolitana che collega la città all’aeroporto di Linate e poi vorrei che a Milano ci fossero più spazi per la musica per esempio usando alcune aree dell’ex zona Expo oppure di San Siro».

Ma Bugo è il suo nome d’arte?

«No, è come mi chiamavano i compagni a scuola».

di MASSIMILIANO CHIAVARONE

mchiavarone@gmail.com

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