La Milano di Cochi Ponzoni: "Su la testa! Ecco la vera città"

Dal Cab 64 al Derby, dall’amicizia con Renato agli scherzi con gli artisti Manzoni e Fontana: viaggio nei ricordi di Cochi orgoglioso di avere ripreso la cittadinanza meneghina

Cochi Ponzoni

Cochi Ponzoni

Milano, 25 febbraio 2018 - "Milano per me significa radici". E dopo vent’anni d’addio perché, all’epoca della “Milano da bere”, non la riconosceva più, Aurelio “Cochi” Ponzoni l’ha risposata. Dopo aver vestito ne “Gli sdraiati” i panni del nonno (anche nella vita ha quattro nipoti), girato all’ombra del Bosco Verticale e del Giambellino, è pronto a tornare a teatro con la pièce “Quartet”.

Il suo rapporto con la città?

"Sono uno dei pochi milanesi da tante generazioni. Avevo uno zio prete che è l’unico ad avere scritto la storia di tutte le chiese di Milano nel 1930, fotografando tutte le opere d’arte, misurandole. Mio nonno materno era un cantante lirico, cantò ai funerali di Verdi il “Va, pensiero”. Sono cresciuto in quell’ambiente lì. Mia mamma parlava sempre in dialetto anche se sapeva benissimo l’italiano".

Il primo ricordo?

"Sono nato in via Vincenzo Foppa: me la ricordo alla fine della guerra mondiale, con i campi, gli orti, d’estate c’era un venditore di angurie. Era un piccolo borgo medievale che chiamavamo Brera perché era pittoresco e alla domenica arrivavano gli allievi dell’accademia a dipingere. È la Milano della mia infanzia e quella tramandata dai ricordi di mia madre".

I luoghi del cuore?

"Via Lentasio, da ragazzo, quando c’era l’osteria dell’Oca d’oro, dove ho conosciuto gli artisti Piero Manzoni e Lucio Fontana, gli scrittori Buzzati e Bianciardi, Dario Fo. Ci incontravamo lì, è la Milano che non esiste più, quella della galleria “La Muffola”".

La Milano più creativa.

"Mi ricordo quando accompagnavo a casa Fontana con la mia 500 rossa. “Ven sù che te doo on quader ”, mi diceva sempre. Non l’ho mai preso quel quadro. Quando ho visto a New York a quanto ne hanno battuto uno all’asta mi sono mangiato le mani (ride)".

Ha avuto a che fare anche con la “Merda d’artista”.

"Sì, quante volte l’ho preso in giro Piero Manzoni. Cos’è? La Simmenthal? Ma aveva ragione lui. Io e Renato lo abbiamo aiutato anche a fare la Linea lunga 11 chilometri. Aveva bisogno di qualcuno che tenesse il pennarello mentre srotolava la carta".

Quando è nata l’amicizia con Renato Pozzetto?

"Ancora prima che nascessimo, i nostri papà erano amici, le mie due sorelle maggiori erano in compagnia con i suoi due fratelli. Siamo cresciuti insieme. Eravamo in simbiosi".

Andavate a scuola insieme al Cattaneo?

"Ahi, ricordo drammatico. Io avrei voluto fare studi classici ma mio padre era cagionevole di salute e così mia mamma mi disse che dovevo fare in fretta a prendermi un pezzo di carta, mi iscrissi a Ragioneria. Renato invece era al “Geometra”. Io ero molto portato per le lingue, sono uscito al quinto anno scambiando una traduzione dal tedesco con ragioneria. Mai capito cosa fosse la partita doppia... Appena mi sono diplomato ho trovato lavoro a Linate".

Ma il cabaret chiamava.

"È iniziato tutto in via Santa Sofia al Cab 64. Jannacci ci ha scoperti lì, nel sottoscala di un bar. Ricordo le persone ammassate, c’erano gli artisti più famosi. Sul palco ospitammo anche Battiato che era appena arrivato dalla Sicilia. Tutte le sere arrivava Gaber".

Poi venne il Derby. Nostalgia?

"Per 10 anni è stata la nostra casa. Lasciai Milano alla fine degli anni 70 per Roma perché non mi piaceva più. Era l’epoca della Milano da bere, il Derby era finito. Nel ’74 iniziammo col cinema, io con Lattuada in “Cuore di cane”, meno commerciale".

Si era spostato il baricentro?

"Sì. Sono stato a Roma per 20 anni. Tanto cinema ma soprattutto teatro di prosa, che è la parte che preferisco. La maggior parte dei film è ancora a Roma, Milano è un po’ la sorella minore. Viene scelta per storie con caratteristiche particolari o di nicchia, come il cinema del Terzo Segreto di Satira, giovani di belle speranze. A Milano è tornata anche quella che si chiamava “terza visione”, c’è un circuito di qualità grazie al Beltrade, al Palestrina, al Mexico. E il teatro è molto vivo".

Così alla fine è tornato anche lei. Ha "risposato" la sua Milano?

"Sì, mi ero allontanato in anni di decadenza culturale. Ci tornai per la prima volta nel ’92 per la trasmissione tv “Su la testa!”: era un modo per dire: “Basta Milano, rialzati”. E infatti quel programma ebbe molto successo. Negli ultimi anni, poi, c’e stata una vera rinascita. Sono tornato stabilmente quando ho sposato la mia terza moglie ed è nata la mia quarta figlia, prima avevo due case, una a Roma e una a Milano. Dal 2014 sono di nuovo cittadino milanese e ne sono talmente felice. Perché Milano è rinata davvero ed è una grande soddisfazione".

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