Via Vivaio, viaggio nel bunker segreto di Mussolini

Stanze sotterranee per 350 ospiti e una torre. "A prova di bombe"

L'entrata del bunker

L'entrata del bunker

Milano, 24 novembre 2017 - Un «missile» di cemento armato, alto quasi 22 metri, puntato verso il cielo, come a sfidarlo. E il bunker cosiddetto di Mussolini. Il centro di Milano custodisce due rifugi antiaerei, costruiti in epoca fascista, capaci di ospitare fino a 350 persone. Ne sono a conoscenza in pochissimi. Siamo tra via Vivaio e corso Monforte, tra la sede della Città Metropolitana di Milano e gli uffici della Prefettura. E la cronista del Giorno è entrata in stanze di solito inaccessibili. La prima rivelazione è che il «missile», che sorge nel cortile di Palazzo Diotti si chiama in realtà Torre delle Sirene. «Fu l'amministrazione provinciale a predisporre il progetto.

La torre fu costruita in quattro mesi nel 1939 – spiega Pietro Marino, responsabile dell'ufficio Statistica dell'ente metropolitano e da 15 anni guida per le visite a Palazzo Isimbardi – la sua funzione principale era quella di essere la Centrale d'allarme di comando delle sirene urbane». Entriamo dall'ingresso sotterraneo, passando per le cantine di Palazzo Diotti. Una rampa di cinque scalini consente di accedere al primo piano sotterraneo (in totale sono otto, due sotto terra) della Torre, chiusa da una porta anti scoppio e da una più interna antigas, entrambe fuori sede. Sembra l'unico cedimento all'assalto del tempo. «L'esecuzione è esemplare: questa torre è a prova di bomba e di gas – racconta con entusiasmo Felice Bonizzoni, responsabile tecnico della Città Metropolitana –.

L'areazione interna era garantita da impianti di ventilazione con possibilità di filtrazione dell'aria, in caso di attacco chimico. Le lampade sono a tenuta stagna. Il ricovero sembra fatto per durare per secoli». Marino punta il dito sul monito di Mussolini che si ripete in tutti gli otto piani: «Meglio allarmati oggi che bombardati domani».

Saliamo al primo piano fuori terra. «Era la centrale di comando delle sirene. La presenza del telefono e del telegrafo consentiva al personale della Prefettura di mantenere i contatti con le altre istituzioni durante lo stato di allarme» chiariscono. Il secondo piano è il Posto Comando. Completamente spoglio, si scorge il colore della parete giallo spento e il disegno del sole sforzesco che simboleggia il ruolo dirimente della struttura nelle comunicazioni, in quegli anni difficili. Ma il terzo piano a rivelare maggiori sorprese: c'è una bicicletta. «Si tratta di un accessorio a pedali che serviva ad azionare l'impianto in caso di mancata erogazione di corrente elettrica: l'edificio è completamente autosufficiente anche da un punto di vista elettrico» rivela Bonizzoni. C'è anche una porta metallica antigas dotata di spioncino. Al di là vi è una porta antiscoppio mentre la passerella che un tempo collegava con il palazzo della Prefettura non c'è più.

Il quarto  piano era assegnato alla famiglia del Prefetto. Gli arredi mancano e serve immaginazione per immaginare letto, tavolo e sedie. «Un piccolo vano, dietro una porta, nasconde il gabinetto» mostra Gianfranco Peschiera, geometra dell'ufficio tecnico. Il quinto piano è identico al terzo. Il sesto è il più spoglio e sorge sotto la cuspide esterna. Il vero bunker si trova a poche decine di metri di distanza, nel giardino di Palazzo Isimbardi. «Quest'opera – svela Marino – disposta su due livelli di cui uno completamente ipogeo, venne realizzata nel 1943 perché il rifugio “a torre” non era più considerato sicuro. La capacità offensiva del nemico era aumentata. Per questo si preferì una struttura sotterranea. Doveva accogliere personale ed archivi prefettizi e provinciali». Le diverse stanze sono prive di arredamento. Ma la sala macchine è conservata perfettamente. «Si tratta del locale in cui è installato l'impianto di areazione con ventilazione forzata, filtrazione e rigenerazione dell'aria, progettato dalla Società Anonima Aeromeccanica Marelli. I filtri sono firmati da Pirelli». L'ultimo gioiello.

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