Milano, in classe con la vodka a 11 anni. "I genitori sottovalutano i rischi"

Si abbassa l’età della prima sbronza e scattano lezioni-choc nelle scuole

Alcol

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Milano, 19 febbraio 2018 - Da quando ha iniziato il suo tour, “Mal d’Alcol”, nelle scuole ha incontrato 62mila ragazzi. Luigi Rainero Fassati, che nel 1983 ha eseguito il primo trapianto di fegato a Milano ed è professore ordinario di chirurgia all’Università Statale di Milano, visita ogni anno 40 scuole superiori fra Milano e provincia. Da qui a giugno due alla settimana, a cominciare dal liceo scientifico Volta a cui si rivolgerà domani. I giovani e l’alcol: qual è la fotografia? «Gli ultimi dati Istat del 2016 ci dicono che sono soprattutto i ragazzi dagli 11 ai 18 i più in pericolo che, per un uso esagerato, vanno incontro a malattie croniche: in questa fascia abbiamo il 15,6% di ragazzi a rischio, che tradotto in numeri significa ben 432mila e il 5,7% delle ragazze, ovvero 86.400 giovani donne. Nella fascia fra i 19 e i 24 anni sono a rischio il 16,6% dei ragazzi e il 5,8% delle ragazze».

Dal suo osservatorio, qual è la situazione milanese?

«Alla fine di ogni lezione io chiedo sempre ai ragazzi di far finta che i professori non ci siano e di rispondere sinceramente: su circa 200 ragazzi ci sono 7/8 persone che alzano la mano quando chiedo chi si ubriaca almeno una volta al mese. Alla domanda: “Chi esagera addirittura una volta alla settimana?” alza la mano almeno una persona o due. E rispondono quasi fiere, senza vergogna. Il 50% di loro è donna».

C’è una diversità da scuola a scuola?

«Ci sono scuole più “disagiate”, ma non è tanto una questione di centro e di periferia, quanto di famiglie presenti o assenti. I genitori e i professori sono fondamentali. Mi è capitato di sentire una professoressa del centro: vedeva sempre questa ragazzina con una bottiglietta in mano, sembrava acqua, era sempre mezza vuota. Ha controllato: era vodka. La ragazza ha 11 anni. I genitori non volevano credere alla maestra».

Cos’è cambiato in questi anni?

«Si è abbassata l’età. Ma è cambiata anche la modalità del bere: non è più la birretta, si cerca lo sballo immediato. Tre, quattro, cinque bicchierini di vodka per far arrivare l’alcol nel cervello in un quarto d’ora. Per essere più carichi, disinibiti. E capita che qualcuno finisce in coma».

La “patente a punti” e i maggiori controlli con l’etilometro hanno avuto qualche effetto?

«In parte sì, in genere si sceglie chi accompagna a casa e non beve. Ma l’alcol è ancora la prima causa di morte fra i giovani fra i 16 e i 22 anni, la seconda fra i 22 e i 30. E fa rabbia. Per questo abbiamo deciso di potenziare le lezioni frontali con Automoto.it e Moto.it».

Cosa spinge i ragazzi a bere?

«Da una parte l’emulazione, ovvero il sentirsi parte del “branco”, dall’altra si beve per essere più disinibiti. E l’alcol costa poco, non ci sono particolari problemi di rifornimento, basta chiederlo a un maggiorenne. Non capiscono la pericolosità. Il 90% dell’alcol viene smaltito dal fegato, da un enzima che però sino ai 18-20 anni nei ragazzi non c’è. E nelle donne, a qualsiasi età, è contenuto solo al 50% rispetto all’uomo».

Quando ha deciso di entrare nelle scuole?

«Ero in ospedale. Arriva un caso disperato, un dj di una discoteca di Milano. Il suo fegato non funzionava più. Siamo riusciti a trapiantarlo d’urgenza. Ce l’ha fatta, mi ripeteva: “Dottore, mi ha salvato la vita, non berrò mai più”. Dopo qualche anno arriva la sua ragaz- za, pestata. Lui aveva ricominciato a bere. È questo che mi ha spinto. Perché l’alcol è una calamita che si fissa nel cervello e non lo lascia più».

Qual è il suo metodo?

«Sono convinto che le lezioni teoriche non servano a nulla. Parto sempre da un caso pratico. Racconto la sua storia, faccio vedere il suo fegato com’è ridotto prima del trapianto. C’è chi sta male a lezione, chi sviene».

Terapia d’urto?

«Di super urto. Ma i ragazzi devono avere questo in testa, ogni volta che bevono»

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