Doveva solo operarsi alla spalla, è in stato vegetativo da tre anni

I legali: "Anestesia scorretta, l’ospedale risarcisca 10 milioni"

Sala operatoria

Sala operatoria

Milano, 13 luglio 2017 - Una caduta in casa, un banale incidente domestico. Tutto si sarebbe dovuto risolvere con "un intervento chirurgico di routine" per la riduzione di una frattura alla spalla. Ma l’operazione non iniziò neppure, perché dopo l’induzione dell’anestesia la donna, oggi 71 anni, subì un arresto cardiaco, solo dopo mezz’ora venne rianimata ma entrò in coma e poi in uno stato vegetativo che persiste tuttora, a tre anni di distanza dai fatti. Apre gli occhi ma è completamente immobile e non risponde agli stimoli. È ricoverata in una struttura per lungodegenti dove però le terapie fisioterapiche non sono adeguate alle necessità. Il problema è che finora la clinica dove la donna venne operata non ha offerto ai familiari nessun tipo di risarcimento economico. È una sintesi della vicenda drammatica narrata nell’atto di citazione degli avvocati Fabio Venturini e Filippo Siano, che assistono il marito della poveretta, il quale ha intentato una causa civile, avviata da poco, per il riconoscimento dei danni a favore della donna e a carico della Casa di cura Columbus e dell’anestesista.

La donna, spiegano i legali, venne ricoverata alla Columbus il 10 luglio di tre anni fa, e un mese dopo l’ istituto di Parma presso il quale era stata trasferita, accertò lo "stato vegetativo" della paziente. Cosa avvenne prima dell’intervento chirurgico? Stando alla cartella clinica, il cuore della paziente si fermò dopo circa un quarto d’ora dall’induzione dell’anestesia. A quel punto l’anestesista G.T. chiese l’intervento di un collega che stava operando nella sala attigua. Fu quest’ultimo, stando alla ricostruzione dei legali della famiglia, a decidere la sostituzione del tubo "endotracheale" che doveva servire alla rianimazione.

"Con l'arrivo del secondo anestesista venne rilevata una inadeguata somministrazione di aria e ossigeno ai polmoni", denunciano gli avvocati nel loro scritto, tanto che il secondo medico decise di sostituire il tubo "che evidentemente non era stato posizionato correttamente". La manovra ebbe sì effetto, ma nel frattempo era trascorsa quasi mezz’ora dall’arresto cardiaco. Da quel momento, la paziente non si sarebbe più ripresa. Dopo la parentesi nell’istituto parmense e un lungo periodo trascorso nelle lungodegenza del Don Gnocchi a Milano, ora la donna "è in attesa di essere trasferita presso il Centro di riabilitazione della clinica Hildebrand di Brissago, in Svizzera" o in una austriaca altrettanto qualificata. Lì potrebbe avere delle cure migliori, che naturalmente costano: quasi 2 mila euro al giorno. È per questo che nell’atto di citazione per danni i legali, calcolando su base Istat la vita media di una donna in Italia a 84 anni, chiedono come risarcimento alla clinica e al medico anestesista una somma che va oltre i 10 milioni di euro.

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