Agguato in via Mulas, rispuntano i fedelissimi del Tebano

Un ferito che non apre bocca. Gli aggressori spariti nel nulla. Un’indagine complicatissima con pochissimi punti fermi. E due vecchie conoscenze della Mala milanese

Polizia in azione

Polizia in azione

Milano, 24 gennaio 2017 - Un ferito che non apre bocca. Gli aggressori spariti nel nulla. Un’indagine complicatissima con pochissimi punti fermi. E due vecchie conoscenze della mala milanese che rispuntano dopo 30 anni. Via Mulas, quartiere Adriano, 4.30 del 30 luglio 2013. Tre uomini, col volto parzialmente coperto e la pettorina delle Fiamme Gialle, bussano alla porta dell’appartamento di Luigi Piatti, ai tempi trentaduenne: «Siamo della Finanza», si presentano brandendo un mandato di perquisizione fasullo quanto le divise che indossano.

La compagna dell’uomo apre senza farsi troppe domande, ma si ritrova qualche secondo dopo chiusa in camera da letto col figlio di 2 anni. L’obiettivo è Piatti, che nel frattempo, convinto di avere a che fare con investigatori veri, fa sparire la droga. I tre circondano il trentaduenne e lo costringono a seguirli nell’androne condominiale; lì, in circostanze non ancora chiarite, viene esploso un colpo di pistola che ferisce Piatti all’addome. Cosa volevano da lui? Volevano rapinarlo? Domande senza risposta. Fatto sta che l’uomo crolla in un lago di sangue, mentre gli aggressori scappano a bordo di due scooter. Operato d’urgenza, il trentaduenne viene subito dichiarato fuori pericolo. L’inchiesta della Mobile si concentra subito sui traffici di Piatti e sui possibili contrasti sullo smercio di stupefacenti.

Inchiesta complicata anziché no, che richiederà mesi e mesi di analisi delle celle telefoniche e dei cellulari agganciati attorno alle 4.30 di quella mattina. Gli investigatori della Omicidi, guidati dal dirigente Lorenzo Bucossi e dal funzionario Achille Perone, riescono a isolare tre numeri: contatti e spostamenti si concentrano nei pressi dello stabile al civico 4, ma gli intestatari sono persone inesistenti (e per di più le schede sono state disattivate il giorno dopo la sparatoria). Un collegamento buono c’è però, visto che una delle tre utenze ha contattato un pregiudicato sul suo numero personale: è Fabio Salvatore Caltabiano, quarantenne residente in via Rizzoli, la cui fisionomia coincide con uno dei tre finti finanzieri immortalati dalle telecamere. Da lì gli inquirenti, coordinati dal pm Adriano Scudieri, arrivano ai due presunti complici, pure catanesi: Giuseppe Leotta, cinquantacinquenne ai domiciliari in una comunità di Cozzo (nel Pavese) identificato grazie alla comparazione con il Dna isolato su un guanto trovato in via Mulas, e Domenico Zanti, cinquantasettenne con obbligo di firma a Misterbianco (in provincia di Catania). Ai tre, con la collaborazione della Mobile etnea, è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare per tentato omicidio emessa dal gip Lucio Marcantonio. Inutile dire che nessuno di loro – già coinvolti nell’indagine del dicembre 2014 sulla ’ndrina reggina Libri-De Stefano-Tegano che aveva messo le mani sul catering dello stadio Meazza – ha ammesso alcuna responsabilità.

Leotta e Zanti, due nomi pesanti della criminalità. Due nomi che rimandano alla Milano anni Ottanta e al boss Angelo Epaminonda detto «Il Tebano», della cui scomparsa avvenuta un anno fa si è saputo solo nelle scorse settimane. Rispolverando vecchi verbali di collaboratori di giustizia datati 1994 (con puntuali riscontri della Criminalpol), emerge ad esempio la figura di Domenico Zanti detto «Mimmo o’ Studente», che nel giugno del 1987 fu incaricato di trovare la pistola (poi in realtà procurata da Mario Salvati) per la sparatoria organizzata per eliminare (senza riuscirci) Antonino Faro e Antonino Marano nell’aula-bunker di San Vittore. E ancora: durante la detenzione di Epaminonda e di Jimmy Miano, era sempre Zanti a gestire le bische di via Palmanova, «tra le più frequentate e “tradizionali” nella città». E Leotta? Secondo altre testimonianze, «Pippo o’ Niuru» – una sfilza di precedenti che spaziano dalla rapina all’associazione per delinquere di stampo mafioso – si occupava di smerciare la cocaina in arrivo dall’Argentina.

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