Nella prima casa dell'accoltellatore della Centrale: "È cresciuto qui coi suoi genitori"

I ricordi dei residenti alle case popolari di via Tommei, quartiere Molise-Calvairate

Il caseggiato di via Tommei 3 nel quartiere Molise-Calvairate

Il caseggiato di via Tommei 3 nel quartiere Molise-Calvairate

Milano, 20 maggio 2017 -   «Era un bambino bellissimo. Ricordo anche la mamma, che purtroppo non viveva una bella situazione: il marito la maltrattava e sono convinta che sia stato lui a portarla sulla cattiva strada. Ma quella famiglia se n’è andata da tanto tempo». A parlare è una donna residente nelle case popolari di via Tommei 3, quartiere Molise-Calvairate. Alla scala G del palazzone Aler, il citofono ancora riporta il nome Hosni nonostante l’alloggio corrispondente sia vuoto dal 2008, chiuso da una lastra di zinco per scongiurare occupazioni. Il «bambino» a cui la signora si riferisce è Ismail Tommaso Ben Yousef Hosni, italo-tunisino, figlio di mamma italiana e papà tunisino, che oggi ha 20 anni. Giovedì sera ha ferito a coltellate due soldati e un agente della Polfer alla stazione Centrale e ora è indagato per terrorismo internazionale dalla Procura. «Ma qui non vive più da anni», continua la donna. Al vedere la foto del ragazzo diffusa sui social network scuote la testa. «Lo ricordavo tutto diverso, più chiaro. Non l’avrei mai riconosciuto». Ma che il suo nome fosse collegato a «un fatto grosso» gli inquilini del palazzone lo avevano capito fin da giovedì sera. Quando «verso le 22-22.30 qui si è riempito di poliziotti. Non sapevamo che pensare. Hanno bussato a tutte le porte, insistevano anche per parlare con una signora straniera malata di cuore. Io ho consigliato di lasciarla tranquilla».

Scuote la testa anche un altro vicino, che racconta di essere residente in via Tommei da 20 anni. «La foto mi dice qualcosa ma di lui non ricordo proprio nulla». Consiglia di chiedere ai giardinetti vicini, a un internet point. Ma tutte le persone incrociate sostengono di non aver mai notato il ragazzo da quelle parti. L’impressione è che Ismail Hosni non mettesse piede da tanto tempo in quel quartiere. Che vagasse per la città senza una dimora fissa, come un randagio. «Qui tutti abbiamo delle storie difficili alle spalle – continua il vicino –. E il palazzo sembra un porto di mare. Non escludo che sia passato anche da qui, nel suo peregrinare, magari cercando la sua vecchia casa. Ma qui tutti si fanno gli affari propri». Il viavai è continuo dallo pseudo cancello tirato su come fosse l’ingresso di un cantiere, accanto ai citofoni protetti da una griglia anti vandali. E di fatto un cantiere c’è in quel complesso che è al centro di un restyling, con decine di alloggi vuoti anche perché diversi inquilini sono stati trasferiti provvisoriamente altrove proprio per via dei lavori. «Ma c’è anche chi ne approfitta: alla scala G, su 24 appartamenti, molti sono sfitti o occupati», sottolinea una donna. Su una porta spunta un cartello: «Qui da rubare non c’è niente, siete già venuti». Qui, in questo contesto, Ismail Hosni ha conosciuto il mondo per la prima volta.

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