Milano, 21 giugno 2014 - Senza scudi, da ex (premier, parlamentare e Cavaliere), il processo di verifica ai sette anni di reclusione per il sexygate Ruby, incassati il 24 giugno 2013 da Silvio Berlusconi, scivola verso sentenza immediata. 18 luglio, data concordata con i difensori dell’ex premier, Coppi e Dinacci, in luogo degli avvocati abituali (Ghedini e Longo), che senso di opportunità ha consigliato di stare a guardare: sono indagati per corruzione in atti giudiziari — nel Ruby ter, tuttora in indagini preliminari — su ordine dato alla Procura dalla quinta penale quando sentenziò sul Ruby due, e cioè sull’induzione alla prostituzione ad Arcore, a carico di Nicole Minetti, LeleMora ed Emilio Fede. E indagati, i due legali, proprio per la gestione delle testimoni (retribuite a 2.500 euro al mese dal premier) delle serate calde di Villa San Martino. Ma senza scudi Silvio è anche davanti al tribunale di Napoli dopo l’exploit che ha fatto, come teste, al processo per tangenti (imputato Valter Lavitola).

Un battibecco col presidente della sesta penale, Giovanna Ceppaluni: «Non capisco il perché di queste domande», «Lei non deve capire...» fa il presidente. ESilvio che inforca il cavallo di battaglia: «La magistratura è irresponsabile, incontrollabile, incontrollata e ha impunità piena». Il giudice: «Sì, ma è ancora tutelata dal codice penale...». Provocato, Silvio? È comunque roba da far sventolare lo spettro, e la Procura di Napoli lo fa (a trascrizioni del dibattimento ricevute), di una nuova accusa: oltraggio a magistrato in udienza. Il timore non è per il reato, ma per la ricaduta sui servizi sociali, con un possibile richiamo sul quale il magistrato di sorveglianza di Milano per ora non si pronuncia.

Ma il vero processo, l’appello Ruby — concussione sulla questura di Milano e prostituzione minorile di Karima El Mahroug — davanti alla seconda sezione milanese (Tranfa, Lo Curto e Puccinelli) rompe la tradizione dei tempi berlusconiani. Quattro udienze, ieri primo giorno dedicato alla relazione di ricostruzione dei motivi a base della condanna della quarta penale; 11 luglio, requisitoria del sostituto pg Piero de Petris; 15 e 16, parola ai difensori. Verdetto il 18. Perché, spiega il giudice Tranfa, «l’esigenza dei processi d’appello è di concentrare le udienze», per non «rendere meno efficaci gli interventi, e ciò nell’interesse globale delle parti». Messaggio inviato e ricevuto. La difesa sarà, stando agli avvocati, «tecnica»: «profili giuridici e in fatto».

Sfuma l’ipotesi, coltivata nei motivi d’appello di Ghedini e Longo, di una riapertura del dibattimento. Sentire altri testi, col senno di un Ruby ter con 32 indagati, molti dei quali per falsa testimonianza (serate hard riferite univocamente come «cene eleganti»), pare controproducente. Sul tavolo cala invece la qualificazione del reato, la concussione per costrizione, che i difensori contestano: quale costrizione «in quell’unica telefonata»? La telefonata fatta la sera del 27 maggio 2010, quando Ruby viene fermata per furto e rilasciata dopo l’intervento dell’allora premier che la passa come nipote del presidente Mubarak. E Silvio? Si presenterà in aula? «Valuteremo se sarà utile» dice Coppi: dato il rapporto turbolento coi magistrati, potrebbe non esserlo.