Milano, 20 giugno 2014 - E' la storia di un benefattore senza volto, che qualcuno ribattezza «l’angelo invisibile» di Milano. Ma lui rimane perplesso: «Invisibile va bene, per il resto mi hanno incollato quest’etichetta». Un ricco manager della finanza, tra i 50 e i 60 anni, che da almeno dieci impiega una parte dei propri utili nell’aiutare chi è rimasto indietro. A una condizione: che nessuno riveli la sua identità.

«Perché lo fa?», è la domanda. «Perché no?», la risposta. «I soldi non sono un problema, ne ho più di quanti servano a me e alla mia famiglia; il problema è dare un senso a questo passaggio sul pianeta». Comincia tutto da bambino, quando le ingiustizie e la sofferenza altrui gli sembrano inaccettabili. Presto Andrea lascia l’azienda paterna e diventa un affermato dirigente bancario.

Carriera lampo, grazie a una volontà di ferro, la propensione a risolvere problemi, quattro lingue parlate alla perfezione. Un conto corrente che lievita e veleggia in quota, sospinto dal vento di un’economia continentale ancora col turbo.

Poi la malattia del padre e il conflitto che esplode, tra l’amore per l’uomo e la ribellione verso il modello. La morte del genitore e l’imponente eredità, con cui vivere di rendita. Lo smarrimento, il senso di vuoto. E un giorno di pioggia. Per strada Andrea incontra un povero, senza nulla addosso. Forse l’aveva visto mille volte, come altri, a zonzo senza meta né speranze nella Milano umida dell’inverno. Ma è lo sguardo a essere cambiato. Andrea non ci pensa, entra nel primo negozio del centro, tira fuori la carta di credito e consegna un sacco di vestiti, all’incredulo clochard. È solo l’inizio, da quell’istante i casi si moltiplicano.

C’è l’impiegato di giorno, portiere d’albergo la notte, per pagare i debiti e mantenere il figlio. Andrea scopre il suo numero, lo incontra e gli mette in mano una busta piena di bigliettoni. «Cosa vuole in cambio?», dice l’altro sospettoso. «Nulla, non ci rivedremo più». C’è il malato di cancro che dorme in auto e di giorno fa la chemio. C’è Marcella, venduta dal padre a 8 anni come schiava, poi fuggita, ma senza casa per sé e il bambino. Il cingalese vessato da un datore di lavoro (in nero) che nemmeno gli concede il permesso di tornare a vedere la madre moribonda.

Andrea affronta ogni storia come un caso aziendale. I suoi figli lo aiutano, anche quando va a caricare i mobili per portarli di persona nei monolocali che consegna ai senzatetto. Cancella i debiti e mette il suo staff legale a disposizione delle persone umiliate. Cominciano anche le missioni in America Latina, dove rimette in piedi un intero villaggio ridotto alla fame.

Nel 2008, la crisi travolge anche lui, costretto a fermarsi con le donazioni, perché il patrimonio in breve evapora del 70%. Ma lui è del ramo e presto si riprende. A un certo punto capisce che ha un problema: gli serve un filtro tra lui e gli altri. Così si appoggia alle parrocchie, per individuare i casi di maggior necessità. Poi crea la Fondazione Condividere che eroga i flussi di denaro, senza che la sua firma compaia. La macchina è oliata e va come un treno. Solo il pilota rimane nel cono d’ombra.

In tanta energia e convinzione, una punta di amarezza: «Arrivano offerte di persone che si privano di quel che possono, pensionati, operai, studenti. Ringrazio e mando tutto indietro. Ho cercato di coinvolgere amici benestanti. Nessuno apre il portafogli. Al massimo qualcuno se la cava con 50 euro al mese».

Così Andrea decide di accettare un’ultima verità: le parole ci salveranno. E scrive la sua storia, uscita in questi giorni per Feltrinelli con il titolo L’Angelo invisibile. Sempre in modo anonimo: «I proventi andranno alla Fondazione. Ma soprattutto vorrei contagiare quanta più gente possibile. Magari qualcuno, leggendo, guarderà i suoi giorni con occhi diversi. Potenzialmente, c’è un angelo in ognuno di noi».