Milano, 20 giugno 2014 - Una morte «lenta e disperata» quella di Nicoletta Figini, la donna di 55 anni uccisa nella notte tra il 18 e il 19 luglio di un anno fa, nel suo appartamento di via Ramazzini 4, a Porta Venezia. La «sofferta agonia» della ricca vedova «morta per asfissia tra mezzanotte e le quattro di mattina», dopo essere stata selvaggiamente picchiata ed essersi strenuamente difesa, è descritta dettagliatamente nella consulenza medico-legale che porta la firma di Cristina Cattaneo, l’esperta dei casi difficili, quelli in cui anche la minima traccia può aprire una speranza. La relazione dell’anatomopatologa non porta gli inquirenti a una svolta, ma mette molti punti fermi in un’indagine complessa, sulla quale la Squadra mobile non ha mai smesso di lavorare, di comparare dna, incrociare tabulati e testimonianze. Morte per asfissia, dicevamo: una lunga agonia provocata dall’impossibilità di respirare con bocca e naso tappati da pezzi di lenzuolo e di vestiti stretti, per impedire alla vittima di urlare. Nicoletta, che ha anche mani e piedi legati, riesce a liberarsi almeno parzialmente una narice, solo quando i suoi assassini se ne sono già andati. Ma non le basterà. È una specie di illusione, che prolungherà una morte inevitabile.

Quella notte, gli assassini sono almeno due. Non è un fuscello Nicoletta, pesa ottanta chili e per legarla così ci vuole forza. La sera in cui muore non ha assunto droghe (anche se sul comodino le troveranno metadone), ha cenato regolarmente e ha bevuto solo un bicchiere di vino. Poi va a dormire. A mezzanotte i suoi assassini la sorprendono a letto. La picchiano una prima volta in camera, lei cerca di difendersi e perde un’unghia, che verrà ritrovata sul letto. La pestano anche mentre la trascinano in soggiorno (dove morirà), forse perché continua a resistere o forse perché non vuole decidersi a dir loro dove tiene i soldi. La legano mani, piedi e bocca con alcuni vestiti che trovano in camera. Non bastano. Nicoletta si dimena, cerca di liberarsi. Aggiungono legacci presi da un grande lenzuolo ridotto in pezzi e infine la immobilizzano con le catene che di solito si usano per certi giochi sadomaso.

Ma forse questo è solo un tentativo di confondere le idee a chi dovrà indagare. Durante la difesa disperata, sul corpo di Nicoletta rimangono le tracce biologiche di tre uomini. Una corrisponde a una persona che aveva rapporti con lei, ma che viene esclusa da subito perché ha un alibi di ferro. Le altre due tracce vengono confrontate con quelle di tutti gli uomini della sua cerchia di amici, parenti, conoscenti. Inutilmente. Sono due dna compatibili con le caratteristiche di maschi di origine balcanica. Gli investigatori pensano a possibili autori di reati analoghi: furti in casa, rapine o aggressioni. Intanto, altri esperti analizzano i quattro cellulari in uso a Nicoletta e anche i tabulati relativi alle conversazioni svolte quella notte nelle vie attorno a Porta Venezia. L’attenzione è fissata sulle persone proprietarie di telefonini che hanno caratteristiche in qualche modo simili a quelle cercate dagli investigatori: origini dell’Est Europa, denunce o precedenti penali per reati contro il patrimonio o la persona.

Alla fine, l’elenco stilato contiene una sessantina di nomi di teorici sospettati. Ma non esiste una banca dati dei profili biologici: gli inquirenti potranno confrontare i loro campioni con quelli dei possibili autori di reato solo man mano che se ne presenterà l’occasione. Per ora hanno fatto la comparazione già tre volte, senza alcun risultato utile. E poi c’è Gianpaolo Maisetti, l’ex socio della Figini che fin dall’inizio è stato considerato per varie ragioni tra i possibili sospettati, ma senza alcuna prova concreta: attualmente è in carcerazione preventiva per una storia di pedofilia. Nelle prossime settimane, il pm Mauro Clerici lo interrogherà di nuovo, in presenza del suo avvocato. Per l’omicidio Figini.

di Mario ConsaniAnna Giorgi