Milano, 23 maggio 2014 - Utilizzare Uber è straordinariamente semplice, basta avere uno smartphone. Capire dove risieda la sede legale, e quindi la cassa della società, è invece più complicato: in questo caso bisogna armarsi di molta pazienza e prepararsi ad un viaggio tra i continenti e i paradisi fiscali del mondo. Uber è al tempo stesso una e trina: il classico e già visto incastro di società in stile matrioska russa. La rivelazione arriva dalla Francia.

L’inchiesta condotta già a febbraio da «Bfm Business» ha avuto una vasta eco: «Le Figaro», «Le Parisien» e altri media transalpini hanno via via deciso di riprenderla e diffonderla anche tra i loro lettori. Un’avvertenza prima di salire a bordo: gli articoli della stampa francese non riportano alcuna replica dei responsabili di Uber e altrettanto avverrà su queste pagine perché, nonostante telefonate e sms, ieri non è stato possibile parlare con la società. Partiamo, ora.

Il conducente che lavora con l’ormai nota applicazione versa il 20% dell’importo di ogni corsa alla società «Uber BV», una società registrata in Olanda e controllata al cento per cento da «Uber International BV», anch’essa domiciliata in Olanda. Ma «Uber International BV» è a sua volta una filiale, sempre al cento per cento, di una terza società: «Uber International CV», che risiede, stavolta, alle Bermuda, un noto paradiso fiscale. Ma il viaggio tra le mille teste dell’applicazione smartphone che, a Milano come in tutte le 80 metropoli in cui è presente, ha scatenato la rivolta dei tassisti, non è ancora del tutto concluso. «Uber International CV» è infatti associata ad una quarta società, la «Neben LLC» immatricolata negli Stati Uniti e, per l’esattezza, nel Delaware, un altro paradiso fiscale.

Secondo «Bfm», tale incastro di società, è con ogni probabilità utilizzato per operare in tutti i Paesi in cui è presente Uber. Meglio precisarlo: non c’è nulla di illegale in questo gioco di scatole e sigle. Ma qual è l’obiettivo ultimo di una simile organizzazione? «L’ottimizzazione fiscale», spiega l’inchiesta di Bfm. Vale a dire: pagare meno tasse possibile. Il canale d’informazione transalpino ricorda infatti che i «Big Five» della Rete hanno, chi più chi meno, scelto il modello a matrioska. Scatenando, in Francia, l’ira di Francois Holland («Prassi inaccettabile»). La «Federazione francese delle telecomunicazioni» ha calcolato che Google, Facebook, Microsoft, Apple e Amazon dovrebbero versare nelle casse dell’erario francese 800 milioni di euro all’anno. Oggi versano, invece, 37 milioni.