Milano, 19 aprile 2014 - È ancora angosciante ripercorrere i frammenti di giorni, mesi e infine anni passati a convivere con la paura e a cercare di combatterla. Tra minacce, avvertimenti e tensioni che hanno continuato a tormentare la vita di due fratelli, Luca e Matteo: «Come quegli strani messaggi lasciati sulla tomba di mamma e papà, così inquietanti alla luce di tutto quello che è successo e delle persone coinvolte...».

Il caso Colturani è una storia piena di ombre e di domande, di dettagli spezzati e difficili da ricostruire. Che tornano tutti a galla come fantasmi, adesso, dopo che giovedì la Cassazione (con rinvio a nuova Corte d’assise d’appello di Milano) ha annullato la condanna di Valerio Cociu, Alexander Bunduchi e Iure Popescu: già condannati in secondo grado con pene fino a 24 anni, sono accusati di omicidio volontario, rapina, furto, violazione di domicilio.

Sono passati sei anni e cinque mesi dalla notte in cui il dottor Marzio, ginecologo affermato di 64 anni, vedovo da due, restò ucciso mentre una banda di ladri feroci di origine moldava gli svaligiava la casa. Le vie respiratorie ostruite dal nastro adesivo e dalle coperte con cui gli avevano tappato la faccia. Era il 13 novembre del 2007.

I banditi riuscirono a entrare senza forzare nessuna serratura: era stata la colf ventiduenne e compagna del capobanda, Tatiana Mitrean, a consegnare le chiavi dell’appartamento e della cassaforte ai malviventi. Senza scrupoli.

Di quella tragedia resta un testimone, solo parziale. Il figlio Luca: anche lui legato e imbavagliato, riuscì a vedere in faccia uno degli aguzzini suoi e di suo padre. Vive ancora in quella casa, riconsegnata spoglia, depredata, devastata. I ladri avevano portato via quadri, gioielli, ori, soldi. Nei mesi successivi all’incursione, mentre si cominciava a fare luce su complicità e responsabilità di chi quella notte entrò in casa Colturani, i figli Luca e Matteo hanno dovuto fare fronte a una vita tutta da ricostruire, mentre gli inquirenti indagavano per riuscire a risalire ai responsabili della morte del loro padre.

Soli a prendere decisioni quasi sempre difficilissime. «Come quando i carabinieri erano riusciti a intercettare le conversazioni dei banditi — ricorda Matteo —. E quelle bestie dicevano tutto: parlavano dei gioielli rubati da casa nostra e portati subito all’estero. Dell’oro che era stato fatto fondere. Dei quadri, dei soldi. Non abbiamo più recuperato nulla, del nostro patrimonio. Gli investigatori ci hanno chiesto: volete incriminarli solo per ricettazione? O volete arrivarci in fondo, trovare i responsabili dell’omicidio di vostro padre? Ovviamente siamo andati in fondo...».

Anni di battaglie legali, di sospetti e anche di terrore. Commenta ancora Matteo: «Il problema è che gli uomini che hanno ammazzato mio padre sono persone pronte a tutto... Se dovessero essere prosciolti, né io né mio fratello ci sentiremmo al sicuro». E la memoria torna a un episodio di non troppo tempo fa. Quando, sulle tombe dei genitori al Monumentale, trovarono segnali inquietanti, seppure ancora oggi inspiegabili: «Semi di girasole, e poi degli strani pupazzi... Non so che cosa vogliano dire, quei simboli, ma certamente non sono stati messi lì per caso. E la nostra reazione, quando li abbiamo trovati, è stata di fortissima angoscia. Non possiamo aspettarci nulla di buono da certa gente, che fa affidamento su una rete radicatissima anche nel nostro territorio. Su amicizie, su appoggi. Parliamo di persone che si sono arricchite con furti, rapine, omicidi, contrabbando. E se la giustizia non troverà il modo di tenerli dentro almeno per un bel po’... beh, non so che cosa potremmo aspettarci».
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