Milano, 13 aprile 2014 - La luna di miele è finita. Prima ancora di celebrare ufficialmente il matrimonio tra la Scala e Alexander Pereira, i lavoratori sono pronti a scaricare il manager che qualche giorno fa ne aveva pubblicamente esaltato eccellenza e professionalità: «Solo dopo averli visti in azione — aveva confidato ai rappresentanti sindacali nel corso della riunione sulla stagione dell’Expo — ho capito perché questo è considerato il teatro numero uno al mondo».

Ora, però, il presunto affare sull’asse Milano-Salisburgo, con almeno 7 opere (con annesse scenografie da adattare) acquistate dal Festival per 1,28 milioni di euro, rischia di incrinare il rapporto: «Ci sentiamo presi in giro — attaccano le maestranze di stanza nei laboratori ex Ansaldo di via Bergognone —. Ma non eravamo noi i migliori?». I dipendenti sono sul piede di guerra. E l’interrogativo inizia a prendere corpo, dai falegnami ai coristi: «Sarà stata la scelta giusta?». E ancora, «non è neppure entrato in carica e già viene fuori il primo scandalo: cosa succederà quando sarà davvero al comando?». Difficile tenere a freno la rabbia montante: i delegati hanno deciso di attendere l’esito della seduta del Consiglio d’amministrazione in programma domani mattina per scegliere la linea da seguire. Ammesso che venga fuori qualcosa di concreto, la diffusa ironia: «Vogliamo che il Cda dia un segnale chiaro di inversione di tendenza. Ora e non chissà quando, ne abbiamo abbastanza della politica del rinvio».

Nel mirino finisce pure il sindaco-presidente Giuliano Pisapia, al quale vengono mosse più o meno le stesse accuse incassate quattro anni fa da Letizia Moratti, definita «La donna immobile»: «Sulla nomina del successore di Stéphane Lissner ha messo in piedi la storia dell’avviso pubblico — attaccano nei corridoi — quando tutti sapevano che avrebbero scelto Pereira: col senno di poi, quel bando si è rivelato una farsa».

Stavolta, il monito, è vietato sbagliare. Non sono ammessi compromessi di sorta né soluzioni all’italiana, tanto per intenderci: «Devono spiegarci una volta per tutte — argomenta Giancarlo Albori, segretario territoriale Slc-Cgil — come funzionano le procedure: chi deve autorizzare le spese, chi deve firmare i contratti, che poteri ha il consulente tecnico Pereira in questi mesi».

Del resto, aggiunge Domenico Dentoni della Uilcom, «qui siamo alla Scala: comportamenti del genere sono inaccettabili, pretendiamo spiegazioni convincenti». Altrimenti, meglio cambiare subito prima che sia troppo tardi. E rispunta il vecchio cavallo di battaglia: separare le due cariche di sovrintendente e direttore artistico per identificare meglio ruoli e competenze. Il rischio, tagliano corto in via Filodrammatici, «è vedere pesantemente danneggiata l’immagine internazionale del tempio della lirica: che figura ci facciamo?». Senza trascurare un po’ di comprensibile campanilismo: «Perché dobbiamo essere noi italiani a sistemare i conti di una rassegna straniera con il bilancio in rosso?». L’atmosfera è elettrica anziché no. E la sensazione è che, una volta incassata una probabile fiducia a maggioranza, Pereira dovrà ripartire da zero per conquistarsi stima e fiducia della «sua» prossima squadra.
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