Milano, 10 aprile 2014 - Ergastolo. La prima volta a un medico, per e nell’esercizio delle sue funzioni. La prima volta per quattro morti, due uomini e due donne che sul tavolo della Chirurgia Toracica dell’ex clinica Santa Rita non dovevano finire. Ci finirono nella logica dell’operazione chirurgica equiparata al profitto, per la clinica e per il medico, il quale sapeva, e accettò, operando persone anziane, fragili, e malati terminali, il rischio di ucciderli. Ergastolo per omicidio volontario con dolo eventuale a Pier Paolo Brega Massone.

La parola è pronunciata pochi attimi dopo l’avvio della lettura della sentenza. Ma passano altri dieci minuti, prima che il verdetto riporti, di nuovo, il medico dal bisturi disinvolto in carcere. Il tempo che il dispositivo letto dal presidente della Prima Corte d’assise Anna Introini sia concluso, che il chirurgo esca da una porta laterale dell’aula grande e sia preso in consegna dalla Guardia di finanza (la stessa che scoperchiò la botola sulla clinica degli orrori in cui si operava a cottimo per fare budget) e condotto a Bollate: questo su richiesta dei pubblici ministeri Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, che ipotizzano un consistente pericolo di fuga reso concreto anche da «disponibilità economiche» e una «rete di contatti» all’estero. Dal carcere, in cui era entrato nel giugno 2008, Brega Massone era uscito in gennaio, dopo che la Corte di Cassazione non aveva ritenuto fosse definitivo il ricalcolo della pena a 15 anni e 6 mesi di reclusione, comminata nel precedente processo per 79 casi di lesioni volontarie su altrettanti pazienti, vittime di «interventi inutili e dannosi».

Poco più di sette ore di camera di consiglio, così si chiude il secondo e più grave processo a Brega, durato oltre un anno. Ergastolo per la morte di Antonio Schiavo, 85 anni, di Giuseppina Vailati, 82, di Maria Luisa Scocchetti, 65, e di Gustavo Dalto (89): operati in condizioni di fragilità estrema, per l’età o per le patologie, e senza analisi adeguate e indicazione chirurgica, ma anche per altri 45 casi di lesioni volontarie in cui il comune denominatore è per l’80% l’età avanzata e i tumori terminali dei pazienti.

La Corte d’assise commina a Brega l’isolamento diurno per 3 anni (contro la richiesta dei pm di 2 anni e mezzo). Quindi condanna a 30 anni — per due morti in sala operatoria — l’aiuto di Brega, Pietro Fabio Presicci, per il quale l’accusa aveva chiesto l’ergastolo: i giudici riducono la pena, ammettendo attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Durissimo è il colpo sul secondo aiuto, Marco Pansera (un solo omicidio contestato), cui vanno 26 anni di pena, contro i 18 richiesti dalla Procura, che aveva considerato invece prevalenti le attenuanti. E pene minori, di un anno e sei mesi a testa, vanno a due anestesisti accusati di omicidio colposo; 2 anni e 3 mesi all’ortopedico e responsabile del reparto di Riabilitazione post operatoria, Renato Scarponi; un anno e 2 mesi per favoreggiamento e falso all’infermiera di Brega Massone, Enza La Corte.

Cade l’aggravante della crudeltà, ma è un obbligo, già fissato nel precedente processo dalla Cassazione. Per il resto è la sconfitta del metodo Santa Rita: più interventi per avere più rimborsi. Ora, almeno un po’ di denaro, in forma di provvisionale, cade sui parenti dei pazienti morti (fino a 100 mila euro) e sulle vittime di lesioni (fino a 50 mila).