Milano, 15 marzo 2014 - “Milano mi ha fatto vincere tutte le insicurezze”. Lo racconta il tenore Vittorio Grigòlo, la cui voce costituisce uno dei pilastri della continuazione della grande tradizione vocale italiana da Beniamino Gigli a Luciano Pavarotti. Ma lui quando parla del capoluogo lombardo si ricorda ancora l’emozione dei suoi 23 anni.

Perché, cosa accadde?
"Era il novembre del 2000 e debuttai alla Scala in un concerto diretto da Riccardo Muti. Molti scrissero che ero il tenore più giovane a esordire in quel teatro. Quella sera il mio sogno diventò realtà. Muti mi disse che mi aveva scelto per le mie bellissime mezzevoci. Il concerto fu un successo e io pensai che potevo costruire una carriera sulla mia voce".

Prima non ci credeva?
"Mi sembrava difficile pensare di poter ricavare da vivere con le corde vocali, cioè con qualcosa che non vedi e di cui non puoi mai essere sicuro fino in fondo. Invece quella sera alla Scala pensai che cominciavo a conoscere la mia voce e ad accettarla. E che le insicurezze della vita le puoi usare in teatro per far crescere i personaggi. E’ questa la sfida, imparare a mettersi in gioco".

E Milano glielo ha insegnato?
"Sì, a cominciare dal mio soggiorno milanese. Scelsi di stare al Grand Hotel et de Milan dove Verdi aveva vissuto per tanti anni e poi era morto. Il costo non era proprio alla mia portata, visto che ero agli inizi, ma volevo trattarmi bene e soprattutto dormire in un luogo che ormai fa parte della storia della città. La cosa buffa fu che quando dovevo regolare il conto la mia carta di credito non ne voleva sapere di funzionare per cui fui costretto a uscire in fretta e furia per prelevare il denaro da un bancomat e attenuare così la figuraccia. A parte gli scherzi, Milano mi è apparsa sin dall’inizio come una città che capiva appieno la mia passione per le sfide. Quando sono qui non riesco mai a fare quello che ho in mente c’è sempre di più. Non per niente mia nonna diceva: “Altro che Milano è una Stramilano” e mi canticchiava la nota canzone meneghina.

E gioca in casa a scegliere Piazza della Scala come luogo milanese che preferisce.
"E’ un simbolo di fortuna nella mia storia personale e uno degli emblemi che proietta la città nel mondo. Il teatro milanese esercita una forza di attrazione enorme. Dal punto di vista urbanistico la piazza è bella, contornata da palazzi mastodontici che però non risultano invadenti. Per me è tutt’uno con via Manzoni. Alcune volte percorrendo queste zone, mi viene in mente Verdi che si recava a teatro mentre nella testa gli frullava tanta di quella musica straordinaria che poi io a distanza di secoli canto nello stesso posto che gli ha dato la consacrazione. Come il “Rigoletto” che ho interpretato nel 2012 alla Scala affrontando nel giro di due mesi un ruolo molto diverso con la “Bohème” di Puccini. E qui torna il senso di sfida, da affrontare e vincere".

Le sue prossime sfide?
"Il “Werther” che mi attira anche per lo spessore drammatico oltre che per il valore della partitura. Poi tra qualche anno un debutto a cui tengo molto: Cavaradossi nella “Tosca” di Puccini. E’ un’opera in cui esordii tredicenne nelle vesti del pastorello accanto a Luciano Pavarotti. E mi ha portato fortuna".

E alla Scala?
"Torno l’anno prossimo sempre con la “Lucia” e per un progetto dedicato a Puccini e ideato per l’Expo. Ma sono sicuro che intensificherò la collaborazione con la Scala e starò più spesso a Milano grazie al proficuo rapporto di stima con il futuro sovrintendente Alexander Pereira con cui ho lavorato a lungo quando era all’Opera di Zurigo".

E poi a Milano si è esibito anche in uno dei suoi concerti come interprete di pop e opera poi definita “Popera”.
"Sì è accaduto all’Hangar Bicocca nel 2013 per il Calendario Pirelli. Una delle esperienze più belle che mi hanno fatto  sentire questa città più vicina. Resto un tenore, ma mi piace anche affrontare la musica pop come del resto ho fatto anche in disco per la Sony. E solo a Milano è possibile unire eventi musicali con spazi nuovi e contemporanei che ricordano il suo glorioso passato industriale".

E’ vero che le piace anche l’hinterland milanese?
"Sì, il mio pensiero corre a Settimo Milanese che frequento spesso perché lì si trova un club privato dove posso dare sfogo alla mia passione per l’aereomodellismo e far volare le riproduzioni che costruisco in scala, in particolare gli elicotteri. Anzi spesso imparo le opere tra un aereo che riparo e uno che metto insieme".

E i suoi amici milanesi?
"Molti. Milano è numero uno anche nei rapporti umani. I milanesi dietro la facciata stakanovista sono dei cultori dell’amicizia. Hanno tempi un po’ lenti nell’aprirsi, ma poi ti restano vicini per sempre".

mchiavarone@yahoo.it