Milano, 13 marzo 2014 - Erano fantasmi, numeri, codici di drg - 075 o 8522 - quelli che fanno lievitare i rimborsi tagliuzzando un polmone o con un’anestesia totale. Tutto inutile, tutto indebito, tutto fuor di protocollo. Tornano, in un giorno e per nove ore, persone. Richiamati dalle loro sofferenze in vita, dalle loro fragilità di anziani e malati terminali, dalle loro magrezze estreme, dai loro decessi messi in corsia preferenziale, e brutalmente accelerati nella clinica Santa Rita del dottor Pier Paolo Brega Massone, tornano dentro l’aula grande del palazzo di giustizia.

Tornano nelle parole sofferte e pesanti come macigni del pubblico ministero Grazia Pradella. Antonio Schiavo, i suoi 85 anni, ex infartuato, senza più il pericardio, operato a oltranza nella Chirurgia toracica di Brega, lui il «più bravo chirurgo al mondo», come si autocelebrava, e il suo aiuto Fabio Presicci. Ecco Schiavo, e il suo cuore che si rompe in sala operatoria, senza che mai si saprà se quel vecchietto «aveva o no un tumore, perché non verrà fatta autopsia». E «perché tutta quella fretta, perché non sottoporlo a una biopsia, perché non a una pet», esami diagnostici meno invasivi, invece di infilarlo sotto i ferri?

L'avidità, è la risposta: è il drg più ricco, ma una risposta è stata già data, in un processo di primo grado, due di appello e uno di Cassazione, sui 79 casi di lesioni volontarie attribuiti a Brega Massone a ai suoi due aiuti, Fabio Presicci e Marco Pansera. E questa è solo altra replica dell’incomprensibile, e dell’orrore. Con la posta che però si è alzata: ora, in un’aula priva dei due principali imputati (Brega e Presicci) sfilano quattro omicidi volontari (oltre a 45 casi ulteriori di lesioni volontarie) col dolo eventuale, e la richiesta estrema dell’accusa è carcere a vita per Brega e Presicci, e diciotto anni per Pansera.

Dalla sua inutile sofferenza aggiuntiva, torna anche Giuseppina Vailati, 82 anni, il corpo devastato da metastasi, cardiopatica, ipertesa. Infilata sotto i ferri, anche lei, senza neppure sapere se aveva un tumore polmonare; e, anche sapendolo, cosa sarebbe cambiato? «Aveva un’aspettativa di vita di un anno, muore in cinque giorni, tre dopo l’intervento, perché, dopo quello, i suoi polmoni non funzionano più».

Chi vuol sapere di Maria Luisa Scocchetti, tumori a cervello, polmone e probabilmente ossa? Perché operarla, «due ore e mezzo sotto i ferri, biopsie pleuriche multiple e resezioni?». «Accanimento puro» dice Pradella, «non c’era spazio per un intervento, il grado di malattia era troppo avanzato». «Mia madre - racconterà suo figlio - dopo l’operazione soffriva moltissimo, gridava gridava, non respirava più».

E poi c’è Gustavo Dalto, 89 anni, che pesa 55 chili ed è alto un metro e 76, che cade dal letto, che arriva «uno scheletro», e viene operato «per un piccolo nodulo neoplastico», perché tanto «ha un’età biologica più bassa di quella anagrafica». Sotto i ferri va in ipotensione, ma loro mica si fermano, continuano. E lui muore.

Questi fantasmi raccontati con altri, gente che non c’è più, perché nella Chirurgia toracica del bravo Brega si punta ai grandi anziani, ai terminali, ai più fragili, racconta Pradella che con Tiziana Siciliano porta al giro di boa il sequel dello spietato rapporto tra rimborsi e interventi inutili della Santa Rita.

Voce incrinata, il viso pallido, mettendo a disposizione della Corte d’assise i propri ricordi di un padre medico la cui vita era incentrata sui pazienti, così familiari da girare per casa: così il pubblico ministero Pradella riporta in vita quelle «che erano e sono persone cui è stato tolta l’occasione di affrontare la morte con dignità, ma aggiungendo loro sofferenze a sofferenze». «Proprio a me, che tanta paura avevo della sofferenza, è toccato dare voce a quelle sofferenze - e lo considero un onore - perché non restino sulla carta». Ma si restituisca loro, post mortem, memoria e dignità.
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