Milano, 9 marzo 2014 - Sei casermoni rossi in serie. Ingresso neanche troppo male per un complesso dell’Aler. Indirizzo: via Fabrizio De Andrè 12, periferia sud. Qui risulta residente, all’alloggio 36, Renata Plado. Chi è? La compagna di Giuseppe detto Smith, fratello di Carlo Cosco e cognato di Lea Garofalo, la donna uccisa il 24 novembre 2009 e diventata col tempo, anche grazie all’impegno della figlia Denise, un simbolo della lotta alla ’ndrangheta. Un’inquilina scomoda, la «Renè». Così scomoda che il Comune ha provato a sfrattarla, sostenendo che in quella casa non c’ha mai vissuto. Ci ha provato sì, perché a dicembre ha dovuto gettare la spugna: dopo la sospensiva accordata dal Tar il 29 agosto 2013, l’amministrazione ha revocato il provvedimento di decadenza. Nei giorni scorsi, il Tribunale di via Corridoni ha preso atto della rinuncia, accollando alle casse di piazza Scala pure le spese legali: parcella da 1.200 euro. Il danno e la beffa.

Facciamo un passo indietro. Al 20 febbraio 2012. Siamo nell’aula della prima Corte d’assise per il processo Garofalo. Sul banco dei testimoni si siede Renata, chiamata a raccontare ciò che sa: dietro le sbarre ad ascoltarla ci sono sia Carlo, poi condannato all’ergastolo per aver assassinato Lea, che Giuseppe, assolto in secondo grado dalla stessa accusa. «Plato Renata, classe ’71, nata a Varese», le generalità. E ancora, «sono residente in via Fabrizio De Andrè 12». Ma come? Ma i Cosco non erano i ras riconosciuti di viale Montello 6? Certo, «ma da lì avevamo lo sfratto». Perché abusivi dal 2000, come messo nero su bianco da una sentenza del 2007 su esposto della proprietà, la Fondazione Policlinico. E allora? «Io presentai la domanda per le case popolari».

Nel 2009 è arrivata l’assegnazione, anche se nell’appartamento a due passi da via dei Missaglia ci si è trasferita solo qualche mese fa: «Ho risistemato la casa — la risposta alla curiosità del giudice — i mobili mi sono arrivati a dicembre, ma non avevano i caloriferi funzionanti: non mi spostavo perché comunque i miei figli non vogliono cambiare casa». Il caso deflagra in Comune: il primo marzo i consiglieri del Pd Carmela Rozza e David Gentili — oggi rispettivamente assessore ai Lavori pubblici e presidente della Commissione Antimafia — chiedono conto all’allora responsabile della Casa, Lucia Castellano. Due settimane dopo, la replica: «L’alloggio è stato assegnato il 18 giugno 2009 a seguito di regolare partecipazione al bando 2008».

La Giunta decide comunque di mandare via la Plado. La motivazione: non ci vive stabilmente e si è pure allontanata. Macché, ribatte la diretta interessata, assistita dall’avvocato Maira Cacucci: «I rapporti Aler si riferiscono al periodo in cui era sottoposta a misura cautelare». Cioè quando era in carcere. Tesi sottoscritta dal Tar, che l’estate scorsa ha bloccato lo sfratto. Anche perché Renata, non più reclusa e in attesa di verdetto della Cassazione per una storia di spaccio e usura, ora a quel citofono risponde. Da qui il dietrofront, seppur forzato, del Comune.

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