Milano, 6 marzo 2014 - L’assassino della giovane e bella Libanny e del piccolo Denzel (LE FOTO), l’uomo senza cuore e senza anima che lunedì sera ha sgozzato la 29enne dominicana insieme al suo bambino di tre anni, è un padre e un marito: ha una moglie incinta del secondo figlio, e un lavoro saltuario come «tuttofare» in una discoteca di Milano. L’assassino capace di uno scempio così orrendo è banalmente un vicino di casa, diventato amico di lei perché portava il figlio Douglas a giocare con il piccolo Denzel, stessa età e compagni di asilo. Il suo nome è Victor Hugo Menjivar Gomez, 36 anni, salvadoregno. Si parla spesso di banalità del male. Ecco, Victor è l’uomo di cui anche la madre di Libanny si fidava. E sarà proprio la donna a mettere gli investigatori sulle sue tracce. Lei che a tarda notte, in questura, racconta: «Mia figlia non era a cena con il suo ex, ma con un amico, con il padre di Douglas, un compagno di asilo di mio nipote. Le ho telefonato proprio mentre lo stava aspettando». Quella è stata l’ultima volta che ha sentito la figlia.
Libanny aveva dato appuntamento a Victor Hugo per cena, così i loro due bimbi potevano passare un po’ di tempo assieme, divertirsi e giocare. Lui a tavola beve, tanto, venti bottiglie di birra. Si fa tardi, sono le 22 i bimbi si addormentano nella stanza accanto, loro due restano in soggiorno. Musica accesa, la serata prende una piega diversa. Lui comincia le avances, preme per avere rapporti, ma lei non vuole, o non del tutto, si spoglia, poi lo respinge. Victor non è lucido, ha bevuto troppo per ragionare, c’è solo l’istinto e lui in quel momento la vuole a tutti i costi e continua l’assedio. Lei lo minaccia: «Lo dico a tua moglie». Una miscela esplosiva nella sua mente. Prende un coltello dalla cucina, la insegue e la sgozza. Il piccolo Denzel, dall’altra stanza sente le urla della mamma, corre per aiutarla, la vede a terra, «a questo punto — dirà lui durante la confessione — il bambino era un testimone scomodo, quindi ho tagliato la gola anche a lui». Poi trascina il piccolo cadavere in bagno. Prende suo figlio Douglas e corre a casa, a pochi metri da dove ha consumato la mattanza. Mette i suoi vestiti in lavatrice, ma le macchie di sangue non vanno via, così in sella a una bicicletta cerca di sbarazzarsene buttandoli in un cassonetto e gettando il coltello in una aiuola sotto casa. Intanto si è fatto mattino, la mamma di Libanny la cerca la cellulare, lei non risponde, è morta da almeno sei ore. Il resto è la cronaca della scoperta dell’omicidio e dei soccorsi. C’è una persona che ha parole dolcissime per la sfortunata Lebanny, è il suo ex datore di lavoro, titolare di una gelateria a Rozzano, hinterland milanese. «Yinette (la chiamavano tutti così) era talmente timida e riservata che finiva per passare inosservata. Era davvero una brava ragazza, tranquilla, educata. Aveva avuto una vita difficile, quando era rimasta incinta, il fidanzato l’aveva lasciata perché non era pronto a diventare padre. Ora che lei era pronta a ricominciare senza di lui...».
di Anna Giorgi
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