Milano, 27 febbraio 2014 - Era aggressivo, era ostile. E lui sarà pure scattato, lui ha certo fatto una sciocchezza, ma non lo voleva uccidere. E quell’arma ridicola e letale, quella confezione di quattro bottiglie d’acqua minerale, tirata in faccia ad Aquila 7, al tassista Alfredo Famoso, anni 68, diventa, quasi, il centro dei distinguo: «Non ho colpito io il taxi con le bottiglie, è lui che, correndo e inchiodando sulle strisce pedonali, le ha urtate».

Solo che poi, quando Aquila 7 scende, «aggressivo, ostile», le bottiglie tornano utili, per colpirlo in piena faccia, e farlo finire, con uno squarcio irrimediabile e netto alla nuca, contro la ruota di scorta di un suv parcheggiato. Ed è la fine dell’Aquila, macchine staccate alle 14 dell’altro ieri, morte cerebrale dichiarata da protocollo 6 ore dopo.

Questioni di precedenza, isterie metropolitane, crescendo di intolleranze. Cose di tutti i giorni. Fino a un destino che fino a qualche attimo prima era impensabile e che d’un tratto un dio realizza, e fissa il cambio di rotta: la morte di un uomo, il carcere a un altro.

Ieri il consulente informatico Davide Righi, 48 anni, si è difeso così, davanti al giudice delle indagini preliminari Gianfranco Criscione, che lo ha sentito a San Vittore per valutare se convalidare il fermo, disposto dalla Procura (il procuratore aggiunto Alberto Nobili e il sostituto Maria Teresa Latella), e se confermare lo stato di detenzione in carcere.

Righi racconta di quel momento, domenica sera, intorno alle otto e mezzo, in cui in via Morgagni attraversa le strisce pedonali, borse della spesa da una parte, la compagna incinta all’ottavo mese dall’altra. E racconta del passaggio incurante del tassista, sulle strisce.

La precedenza negata, l’auto che inchioda, le bottiglie d’acqua che urtano (o tirate rabbiosamente contro l’auto?). Famoso scende, la lite, il tremendo colpo. Basterà per scrollarsi di dosso l’accusa dura che la Procura gli rivolge? Omicidio volontario, dolo eventuale: Righi ha accettato, con la sua aggressione, il rischio di uccidere. E l’evento si è avverato. E poi c’è il carcere, su cui i pm non fanno sconti.

La scelta è nelle mani del giudice Criscione, che ieri si è preso la giornata per riflettere. Depositerà il provvedimento oggi, da cui potrà scaturire una conferma secca della ricostruzione della Procura, o un avallo al fermo, ma con la modifica del titolo di reato, da più, a meno grave. E poi il giudice dovrà decidere sul carcere, se Righi là deve stare, dati i magheggi per non farsi rintracciare, dato che ha abbandonato il campo dove scorreva il sangue di Aquila 7, e con una certa freddezza.

Il suo avvocato, Margherita Rossi, chiede la scarcerazione, dice che l’accusa va derubricata, da omicidio volontario a preterintenzionale. E il giudice non sarà aiutato nella sua decisione da esiti netti di un’autopsia (importanti per capire se la lesione più significativa sia stata causata dal colpo dato con le bottiglie), perché l’incarico sarà conferito dai pm solo domani. Domani, che è anche il giorno in cui in via Morgagni la gente del quartiere, e amici e colleghi di Famoso si raduneranno, in silenzio, per ricordarlo.
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