Milano, 19 febbraio 2014 - Ad Addis Abeba ha messo piede per la prima volta venerdì scorso. Un viaggio di lavoro, da Milano al cuore dell’Africa, nei panni di direttore generale della Perigeo Ong che è specializzata in progetti di cooperazione internazionale. Domenica sera, il rientro a bordo dell’aereo dell’Ethiopian Airlines che è stato dirottato dal copilota. Federico Gallas, 39 anni, racconta l’avventura che ha vissuto. «Ci sono stati momenti di panico quando il velivolo ha iniziato a fare tuffi nel vuoto. Eravamo sopra il deserto». Soprattutto, «siamo rimasti all’oscuro di tutto fino all’atterraggio». Al suo fianco c’era il collega Gianluca Frinchillucci, direttore strategico della Ong.

Quando hai capito che qualcosa non andava?
«Quando mi sono svegliato di soprassalto per l’uscita delle maschere dell’ossigeno. Siccome ero molto stanco, mi ero addormentato appena dopo il decollo».

Come mai le maschere?
«Non si sa di preciso, ci sono più versioni. Secondo il comandante, che ha parlato al microfono dopo l’atterraggio, può essersi trattato di un errore del co-pilota magari dovuto all’agitazione, perché non abbiamo mai avuto problemi di pressurizzazione. Oppure è stato un espediente dello stesso per farci stare tutti calmi, perché urlava al microfono di respirare dentro la maschera, dicendo che se non si fossero seduti tutti non avrebbe erogato l’ossigeno».

Sapevate che l’aereo era stato dirottato?
«No, nessuno ci diceva nulla. Le hostess e gli steward si sono comportati in modo impeccabile per mantenere la calma. Ma io e i miei vicini non sapevamo che cosa pensare, l’equipaggio dava informazioni discordanti, non sapevamo che il pilota era rimasto chiuso fuori dalla cabina anche perché lui si trovava davanti, in business class, mentre noi eravamo dietro. Quando l’aereo ha iniziato a fare tuffi nel vuoto c’è stata tensione, la gente urlava, eravamo spaventati. C’erano anche dei bambini. Ma poco dopo è tornata la calma. Non sapevamo di essere scortati, dal finestrino io non vedevo nulla».

Quando siete atterrati?
«Intorno alle 6. L’aereo ha iniziato a volteggiare una mezza dozzina di volte sulle Alpi, poi è atterrato alla perfezione. A quel punto il pilota ha preso il microfono e ha spiegato che, dopo essere stato alla toilette, ha trovato la cabina blindata, come prescrive la legge dopo i fatti dell’11 settembre, e il co-pilota che si rifiutava di aprirla. Dopodiché sono arrivate le forze speciali svizzere che ci hanno fatti uscire uno a uno. Non sapevamo neanche di essere a Ginevra, io l’ho capito da Google maps. Ho subito mandato un messaggio a mio padre e a mia moglie, dicendo che c’era stato un atterraggio d’emergenza e che stavo bene. La cosa che mi ha fatto sorridere è che, una volta a terra, è scattato l’applauso, come si usa fare di solito. Ma in quel caso stonava un po’».

E il rientro a Milano com’è stato?
«Siamo partiti intorno alle 15 da Ginevra, su due pullman diretti a Malpensa. Gli altri, diretti a Roma o verso altre destinazioni, hanno preso altri aerei. Poi io sono arrivato in Stazione Centrale alle 21. In Svizzera non ci hanno fatto mancare nulla, mettendoci a disposizione una squadra di psicologi, cibo, quattro telefoni e wi-fi. Ora sono felice di essere qui a poter raccontare l’avventura ma di sicuro è stato il mio peggior volo».

Continuerai a viaggiare in aereo?
«Certamente, sono tranquillo. Il mese prossimo ripartiremo».