Milano, 16 febbraio 2014 - Entri nel negozio, e la premessa non ammette repliche. Perché qui la differenza fra legalità e illegalità corre su un filo fragilissimo: «Vuoi semi di canapa? Da noi compri e basta, quello che ci fai non lo vogliamo nemmeno sapere». Principio semplice, equivoco sottile: «Come se tu acquistassi un coltello: niente di proibito. Se poi con quel coltello ci uccidi il tuo vicino di casa, non è certo responsabilità di chi te lo ha venduto». Regole da «grow shop», la via lecita alla canna. Botteghe scintillanti ad alto tasso di tecnologia botanica. Giardinaggio sì, ma non per casalinghe. Niente gerani, nessuna margherita, bensì «semi di canapa da collezione», che in Italia sono legali come lo zucchero filato.

Proprio così: coltivare marijuana è proibito, acquistarne i semi no. Il tutto per via di una convenzione internazionale che risale al 1961. Roba da giurassico, sebbene i primi «Grow shop» — oggi a Milano ce ne sono sette censiti dal sito Magica Italia, seconda in classifica solo a Roma — abbiano cominciato a prendere piede meno di dieci anni fa. E poi, certo, ci sono le sconfinate possibilità del web. «Anche se comprare on line può essere sì più economico e veloce, ma meno sicuro», ammette il nostro grow shopper. Perché saranno pure venduti come «semi da collezione», ma è chiaro che gli acquirenti che si limitano a conservarli in una teca non sono la maggioranza, per usare una formula politicamente corretta.

Del resto è anche vero che i grow shop, nella stragrande maggioranza dei casi, non vendono solo semi, ma anche il kit necessario alla coltivazione fai-da-te della cannabis, questa sì reato penale: condanne dai 2 ai 6 anni di carcere, che arrivavano a venti fino a tre giorni fa, prima che la Corte Costituzionale bocciasse la Fini-Giovanardi del 2006. Pure il kit per la produzione è perfettamente regolare: lampade, areatori, fertilizzante, isolanti, ventilatori, timer. Insomma: il grow shop è un universo di detto e di non detto, dove «si vende senza sapere» e «si acquista senza parlare». La spesa può sembrare impegnativa, ma alla fine «è un investimento», parola di compratore abituale.

Partiamo dai semi: si va da un minimo di 5 a un massimo di 10 euro a seme in media, a seconda della provenienza, della qualità e della rarità della specie. In ogni confezione ne trovi da tre a dieci. Mentre il kit da coltivazione più economico sulla piazza prevede un budget minimo di 120-150 euro. Insomma, con 180 euro chiunque e alla luce del sole può acquistare tutto il necessario per una piccola azienda a conduzione familiare di marijuana.

Col rischio di essere magari scoperto, denunciato o arrestato. E però evidentemente il gioco vale la candela. Perché con un solo seme (quindi con cinque euro) se coltivato bene si possono produrre fino a due chili di marijuana. Valore commerciale sulla piazza dello spaccio? 15mila euro. A dire la verità, la maggior parte dei clienti dei grow shop acquista per «uso personale», almeno stando a statistiche ben poco convenzionali. La metafora è rubata al mondo ortofrutticolo: «È come chi si coltiva il basilico in casa. Lo fa perché è più sano, sa quali fertilizzanti usa, la cura che ci mette nel farlo nascere e crescere». Anche la droga è a chilometro zero.

agnese.pini@ilgiorno.net