Milano, 3 febbraio 2014 - Ieri mattina ha ripreso a respirare autonomamente. «Ogni tanto apre gli occhi, ma è ancora in coma», fa sapere il padre. Piccoli miglioramenti. Giulia (nome di fantasia), tre anni e mezzo, sta lottando in un lettino del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Buzzi. Lì ci è arrivata la notte di martedì scorso, in fin di vita: secondo le prime ricostruzioni, sulle quali i medici del centro clinico mantengono il più stretto riserbo, la bambina si sarebbe soffocata con un boccone di pizza.

«Ma c’è dell’altro», attacca papà Nino, 54 anni, professione autista. E da qui bisogna partire per ricostruire la storia. Una storia che inizia circa 4 anni fa, quando Nino conosce C., una ragazza filippina allora trentenne impiegata in una sala bingo. I due cominciano a frequentarsi, quasi per scherzo.

C. ha il permesso di soggiorno in scadenza, rischia di perdere il lavoro. Così propone a Nino: «Sposiamoci». Sulle prime l’uomo accetta, ma poi, consigliato pure da alcuni connazionali della donna, «che la descrivevano come dedita all’uso di shaboo (stupefacente particolarmente diffuso tra i filippini, ndr)», decide di annullare il matrimonio.

«Quando le comunicai la decisione — ricorda oggi Nino — lei mi rispose: “Tanto sono già incinta...”». Nel settembre 2010 nasce Giulia. Ormai, però, i rapporti tra i suoi genitori sono azzerati: la piccola viene affidata alla mamma. Che, a dire del padre, la tratta come peggio non si potrebbe: «Per non parlare del fatto che non me la faceva vedere, salvo quando me la lasciava perché aveva di meglio da fare». Passano i mesi, la situazione non migliora. C. colleziona uno sfratto dietro l’altro, spesso Nino è costretto a chiamare i vigili del fuoco per farsi aprire la porta dell’appartamento di turno: «Una volta le trovammo in un sottoscala che non era adibito a uso abitativo».

L'uomo, disperato, decide di rivolgersi alle forze dell’ordine, anche perché teme per l’incolumità di Giulia. Nella vicenda, aggiunge, «ho provato a coinvolgere anche il Tribunale dei minori». Senza esito. E arriviamo alla sera del 21 gennaio. La bimba è in compagnia di H., il nuovo fidanzato della madre, un turco sulla ventina che gestisce una kebaberia.

La bambina sta mangiando una pizza quando inizia a sentirsi male: le è andato di traverso un boccone, non riesce a respirare. Il ragazzo, spaventato, chiama il 118 e si presenta in ospedale: «Sono io il padre». Poco dopo arriva pure C.: per qualche ora sono loro i genitori di Giulia.

Saranno poi i medici del Buzzi a scoprire che in realtà il papà della piccola non è H.: «Sono stato avvisato il giorno dopo — rivela Nino — e di questo ringrazio i dottori, che sono stati molto sensibili e professionali». L’uomo si precipita in via Castelvetro. Con un chiodo fisso in testa: «Circa 15 giorni prima, mia figlia mi aveva confessato di essere stata picchiata da quei due: aveva lividi dappertutto». Lividi riscontrati pure in ospedale, come risulta dalla denuncia: «La dottoressa — si legge — procedeva a controllare il corpo di mia figlia e notava che lo stesso presentava dei lividi in varie parti del corpo, provocate da percosse».

Dal Buzzi replicano di aver comunicato agli inquirenti le notizie di reato meritevoli di approfondimento investigativo. I carabinieri, dal canto loro, confermano l’apertura di un’indagine, senza però fornire ulteriori dettagli. «Sia fatta giustizia! — l’appello di Nino — Forse mia figlia subirà danni cerebrali permanenti: voglio sapere chi è stato a ridurla in questo stato».
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