Milano, 2 febbraio 2014 - Dimisero dal reparto di psichiatria un uomo che qualche giorno dopo, in preda a manie di persecuzione, uccise a coltellate una vicina di casa. Ora, sette anni dopo, i due psichiatri dell’ospedale San Carlo accusati di omicidio colposo sono stati assolti. Per il giudice, i due medici non avrebbero potuto trattenere più a lungo in clinica il loro paziente, che aveva ormai superato la fase acuta.
Una vicenda processuale drammatica, che ha costretto magistrati e avvocati a interrogarsi sui meandri della mente umana afflitta da psicosi. Nicola Piggesi, 73 anni, pensionato, nell’aprile del 2007 ammazzò con undici coltellate Gabriella Pozzan, 72enne ex infermiera al San Carlo, sua vicina di casa, in preda a un delirio di persecuzione, convinto che lei gli facesse il malocchio.

Con la moglie, Piggesi abitava al quinto piano, Pozzan all’ottavo, scala F di un condominio popolare di via Fleming, dalle parti di via Novara. Un impeto di pazzia che si consumò quasi sotto gli occhi dei bambini che giocavano nel giardino. Alto, magro, stempiato, vestiti dimessi, qualche goccia di sangue, l’omicida Piggesi venne dirottato immediatamente verso il reparto psichiatria del San Carlo, dove era in cura da alcuni anni. Riconosciuto totatalmente infermo di mente, l’uomo non venne nemmeno processato e morì in seguito in un ospedale psichiatrico giudiziario. A processo erano finiti però i due medici che all’epoca avevano avuto in cura l’uomo e avevano ritenuto di doverlo dimettere dal loro reparto pochi giorni prima che quello uccidesse la vicina, affidandolo al centro di salute mentale sul territorio. Per la procura i due professionisti sarebbero stati perciò colposamente complici dell’omicidio. Ma la nona sezione li ha mandati assolti.

Un verdetto che, in attesa di leggere le motivazioni, è possibile immaginare sia probabilmente legato agli esiti della perizia medico legale disposta dal giudice. L’esperto ha infatti concluso per l’impossibilità, da parte dei due psichiatri, di prendere decisioni diverse da quelle che in effetti presero, alla luce della normativa italiana. Piggesi non si opponeva alle cure, e dunque non sarebbe stato possibile per lui un trattamento sanitario obbligatorio. Ma la diagnosi non parlava di pericolosità sociale, dunque nessuno avrebbe potuto trattenerlo in cura dopo l’abolizione dei manicomi, ormai 35 anni fa. E in quei giorni a cavallo di Pasqua, l’uomo aveva finito per non essere stato ancora ripreso in carico dal centro psico-sociale vicino a casa sua. Così, prigioniero dei suoi deliri, aveva finito per uccidera quell’infermiera solare e affabile, che insegnava come volontaria l’italiano agli stranieri. Per il tribunale, solo una tragica catena di fatalità.

di Mario Consani