Milano, 29 dicembre 2013 - Tra due giorni il Cie di via Corelli chiuderà momentaneamente i battenti: al via dal primo gennaio un mese di lavori per ristrutturare i locali recentemente danneggiati da una serie di incendi dolosi. Nel frattempo, i pochi immigrati rimasti nel Centro di identificazione ed espulsione a due passi dall’aeroporto di Linate verranno trasferiti in altre strutture della penisola.

Il piano di restyling predisposto dalla Prefettura, che utilizzerà i fondi ad hoc appena stanziati dal Ministero dell’Interno, partirà non a caso nelle prossime ore. Sì, perché è in dirittura d’arrivo pure l’iter della gara pubblica per la gestione del Cie. Al momento, c’è una certezza: non sarà più la Croce Rossa a occuparsi del centro.

All’apertura delle buste, l’offerta avanzata dall’ente no profit è stata infatti ritenuta irricevibile, visto che ha superato ampiamente (60 euro con un incremento del 50%) la base d’asta fissata a 40 euro di compenso giornaliero per ogni ospite. Stesso copione del precedente bando, che era finito con un nulla di fatto: in quel caso, erano stati però i vertici di corso Monforte a porre il veto sui vincitori del Consorzio Oasi di Siracusa (proposta di 29 euro contro un massimo di 30), ritenuti poco affidabili sia per problemi di bilancio societario che per i disservizi evidenziati nelle passate gestioni dei Cie di Modena e Bologna.

Ora resta solo da capire a chi la commissione giudicante assegnerà in via provvisoria l’appalto: settimana prossima è atteso il responso, in vista di ulteriori approfonditi controlli sui primi classificati e del definitivo lasciapassare. Chi arriverà in via Corelli a inizio febbraio troverà un impianto completamente rinnovato. Cantieri resi necessari dai cinque roghi appiccati nelle scorse settimane.

L’ultimo in ordine di tempo è andato in scena nel pomeriggio del 10 novembre, quando una decina di ospiti della struttura — tutti identificati grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza e subito arrestati — aveva dato fuoco a lenzuola, asciugamani e materassi (peraltro ignifughi) del settore D: per fortuna, i vigili del fuoco erano riusciti a domare le fiamme in pochi minuti, mettendo in salvo, con l’aiuto degli agenti di polizia, i 70 immigrati che si trovavano all’interno del Cie. Il fumo sprigionato aveva saturato anche i settori C ed E, rendendoli «igienicamente inagibili», come si dice in gergo tecnico: muri anneriti e chiusura obbligata in attesa di un’imbiancatura.

Risultato? Quattro dei cinque settori (da 28 posti ciascuno) fuori uso, anche a causa dei precedenti episodi di danneggiamento concentrati tra il 7 e il 29 settembre. E pensare che solamente qualche settimana prima era terminato un altro oneroso intervento di ristrutturazione. Insomma, sembrava una strategia messa in piedi per portare alla chiusura del Centro di identificazione ed espulsione, come già accaduto nel caso di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia: «Il Ministero dell’Interno non ha fatto i conti con i reclusi...», i commenti sui blog dei movimenti antagonisti.

Tuttavia, da Palazzo Diotti il messaggio era stato subito forte e chiaro: la struttura non si chiude, ci metteremo all’opera per ristabilire le condizioni di sicurezza. Detto, fatto. A Roma è stato deliberato lo stanziamento, si può partire con i lavori. Lavori inutili per l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, che preferirebbe la chiusura della struttura: «Si tratta di un’azione utile e necessaria — spiega — nel quadro di un superamento nazionale di questi luoghi e nella prospettiva di una radicale rivisitazione delle regole riguardanti l’immigrazione».
nicola.palma@ilgiorno.net