Milano, 6 dicembre 2013 - Antonino Benfante, 50 anni, 24 dei quali passati in carcere, il giorno in cui ha commesso il primo duplice omicidio, quello di Emanuele Tatone e Paolo Simone era uscito di galera da quattro giorni. Da sette, quando ha freddato anche il fratello di Emanuele, Pasquale. Il primo giorno di libertà l’aveva utilizzato per riprendere i contatti con i fratelli Tatone, quelli che lui ricordava come boss incontrastati dello spaccio a Quarto Oggiaro. Ex banda rivale. Ora, quasi trent’anni dopo, cercava la loro complicità. «Si era infiltrato in famiglia», dice il procuratore aggiunto Alberto Nobili.

Non si sa se lo aveva fatto per vendicarsi di vecchi rancori e quindi studiare poi il piano del duplice, diventato triplice omicidio o per rimettersi sulla piazza, di nuovo in affari, stavolta con loro, non contro di loro. Come lo era stato in un passato lontano e confuso dalle faide, quando Benfante era per tutti «Tonino Palermo». Benfante, nei giorni precedenti e seguenti l’omicidio, aveva continuato ad andare nella cooperativa in cui lavorava, la Siam di Novate Milanese. E si faceva vedere in giro in via Pascarella in sella al suo scooter, sfrontato e senza casco.

L’affidamento ai servizi sociali gli era stato concesso dopo una revoca avvenuta a metà settembre. Anche in quell’occasione, durante l’affidamento, aveva commesso un reato. Non ce la faceva a non delinquere: aveva rimediato una denuncia per estorsione nei confronti del datore di lavoro. Il ritorno a casa, l’uscita dal carcere non se l’era guadagnata, gli era stata concessa solo per via di un Parkinson molto accentuato che però non gli aveva impedito di sparare e uccidere in due occasioni. La prima il 27 settembre, quando aveva dato appuntamento a Emanuele. Bustine di droga non pagate, movente di bassissimo livello criminale.

Quella domenica pomeriggio Benfante spara a Emanuele e all’amico che lo aveva accompagnato in macchina. Paolo Simone non c’entrava nulla con quei giri, se possibile contava ancora meno di Emanuele, ma era lì, aveva visto. Poi, tre giorni dopo, il 30 ottobre, Tonino Palermo si mette in cerca di Pasquale Tatone. Lo trova in una pizzera che guarda la partita. Lo aspetta fuori e lo uccide. Senza meditare troppo il delitto, senza studiare bene la scena. Benfante è un criminale feroce, ma non di testa raffinata. É un uomo di strada, come i suoi affari: «roba di quartiere», li definisce il procuratore Nobili.

Infatti due testimoni lo incastreranno subito, quella sera lo vedono passare in scooter. Passa più volte davanti alla pizzeria prima dell’omicidio, riconoscibile, con un fucile. E tiene con sè il cellulare che fa da “navigatore” per la polizia. Gli investigatori della squadra mobile, diretti da Alessandro Giuliano, chiudono il cerchio molto in fretta. Aspettano solo che tutti i tasselli combacino, i tempi tecnici per confrontare i tabulati telefonici. Parecchi parlano nel quartiere, qualcuno legato ai Tatone e qualcuno legato a Benfante, ma non paci per analizzare impronte e corlano subito, nè con la polizia. Parlano al cellulare, mezze verità, mezze confessioni quando pensano di non essere sentiti da nessuno. Tutto torna.

di Anna Giorgi

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