Milano, 29 novembre 2013 - Eccola tutta lì la brava gente di Quarto Oggiaro, schierata orgogliosa, mercoledì sera, dalle prime alle ultime file del salone di rappresentanza di villa Scheibler, così austera in mezzo ai palazzi popolari tra via Lessona e via Orsini, che di quella brava gente vorrebbe oggi essere il simbolo di una tanto invocata e sempre rimandata rinascita. Ventidue associazioni, sei comitati, cinque parrocchie, sindacati, i consiglieri della Zona 8 davanti ai poliziotti e al commissario Antonio D’Urso: tutti lì, a parlare di sicurezza reale e percepita, un mese dopo tre morti ammazzati sulle loro strade, con i due fratelli Tatone — Emanuele e Pasquale — e l’autista Paolo Simone lasciati stecchiti da un sicario ancora a piede libero. Adesso resta una triste consapevolezza e lo ammette, la faccia cupa allargando le braccia, anche il commissario, lapidario e amaro dopo due ore di botta e risposta senza tregua: «Quarto Oggiaro non è nelle vostre mani, non è nelle mani dei cittadini onesti». Di «quelli buoni» che mercoledì ci hanno messo la faccia, e in questo caso il detto pochi ma buoni non vale. «Perché siamo tanti, tantissimi, anche se di noi non si parla mai, anche se siamo schiacciati», si indigna e giustamente una signora bionda ben oltre la cinquantina, che ha paura, sì, «ma per i miei nipoti non per me, perché è per loro che vorrei qualcosa di diverso».

Buoni contro cattivi, dunque, e D’Urso azzarda perfino delle stime, butta giù dei numeri per rendere l’idea: «60mila contro 250», dove 250 sono i cittadini controllati con i domiciliari o con altre forme di custodia nel quartiere. Ma poi alza la voce quando qualcuno dal pubblico accusa la polizia e anche i giornali: «Vi accorgete di Quarto solo quando ci sono le stragi. Ma noi abbiamo bisogno di voi sempre». E il commissario: «Noi ci siamo, però basta con l’omertà, basta con la paura. Se tutti denunciassimo, giorno dopo giorno, lo spazio per la criminalità non ci sarebbe più, ve lo posso garantire».

Perché a Quarto, più delle guerre fra clan, più delle morti atroci, fanno paura i bulli, i vandali, i baby pusher, le risse, le prevaricazioni. Dice un signore tra gli applausi: «È l’arroganza di chi va in motorino senza casco, di chi sfascia i cestini, di chi distrugge le macchine e di chi scippa le borse che avvelena il quartiere». E poi, rivolto ai poliziotti: «Non voltatevi dall’altra parte, anche quando vedete fatti di poco conto, maleducati da strapazzo. È partendo dalle piccole cose che si cambiano quelle grandi». E invece succede che vi siano rioni, come Parco Certosa, che si sentono «abbandonati del tutto. Anzi, ignorati». E snocciolano esempi preoccupanti: «Se chiamiamo per segnalare qualcosa che non va, anche di grave, ci rispondono poliziotti o carabinieri che non sanno nemmeno dove si trovi la nostra strada. È assurdo».

«Miglioreremo ancora», è la promessa del commissario, che insiste soprattutto su un punto: «La collaborazione. Dobbiamo essere gli uni a disposizione degli altri, la porta del mio ufficio è sempre aperta, il mio telefono squilla sempre libero. Parlateci, chiedeteci, segnalateci. Sconfiggete la paura fidandovi di noi, mettete a disposizione dei miei uomini i vostri balconi, le vostre case. Aiutateci a far luce su ciò che non funziona». Così alla fine anche i più arrabbiati si alzano sorridendo, perché «confrontarsi è importante. Bravo il commissario che ci è stato a sentire». E delle tre morti? Nessuno parla, nemmeno mercoledì sera. «Noi siamo i buoni. A quelli lì non ci vogliamo nemmeno pensare».

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