Milano, 17 novembre 2013 - E ora per quel saluto romano a Palazzo Marino rischia il processo e in base al codice fino a tre anni di reclusione. La Procura ha chiuso l’indagine sull’avvocato Gabriele Leccisi che lo scorso maggio, tra il pubblico ad una riunione della commissione sicurezza sul piano-rom, secondo l’accusa pensò bene di salutare alla maniera del duce.

Leccisi, del resto, è figlio di quel Domenico passato alla storia per essere stato colui che trafugò la salma di Benito Mussolini dal cimitero Maggiore nel 1946.

Lo scorso maggio Gabriele Leccisi stava seguendo dal pubblico i lavori della commissione comunale insieme ad altri esponenti di associazioni di ultradestra, quando la consigliera della Sinistra per Pisapia Anita Sonego aveva protestato: «Mi hanno riferito che qui ci sono dei fascisti. Se è così, io esco dall’aula». Leccisi, che insieme ai giovani della Fiamma aveva organizzato le manifestazioni contro il campo rom abusivo di via Dione Cassio, sgomberato poche settimane prima, aveva alzato il braccio per farsi vedere. E quando alcuni consiglieri del centrosinistra avevano invitato «i fascisti» a lasciare la commissione, ecco che sarebbe scattato il saluto romano e le urla: «Ne siamo fieri».

In aula era scoppiato il caos. Ad invitare alla seduta Leccisi e l’esponente della Fiamma Carlo Lasi era stato, come avrebbe poi spiegato, il presidente della commissione Sicurezza Mirko Mazzali (Sel), pure lui avvocato, che conosce Leccisi da anni. Mazzali gli aveva proposto di partecipare ma senza diritto di parola, pur di evitare che i neofascisti organizzassero un presidio che da piazza San Babila puntava fino a Palazzo Marino, presidio comunque poi vietato dalla Questura.

L’invito di Mazzali a Leccisi, però, non era piaciuto alla Sonego, che prima della commissione aveva chiesto al presidente di non far entrare i neofascisti in aula. Mazzali poi però avrebbe spiegato: «Ho invitato due cittadini ad ascoltare, pur non condividendo le loro idee». Il saluto romano dell’avvocato fu inevitabilmente benzina sul fuoco. «Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, non accetterà mai apologie del fascismo», protestò duramente il sindaco Giuliano Pisapia.

«È una vergogna - aggiunse - che nella casa dei milanesi si debba vedere il saluto romano: un inammissibile sfregio alla città e ai milanesi. Come sindaco sento l’obbligo giuridico, morale, etico e politico di rappresentare quanto successo alla magistratura». «Non era mia intenzione fare il saluto romano», provò a difendersi Leccisi sostenendo di essersi solo voluto far vedere.

Il pm Piero Basilone, che ha chiuso le indagini, ora però gli contesta la violazione dell’articolo 2 della legge Mancino che punisce fra l’altro chi, nel corso di riunioni pubbliche, “compia manifestazioni esteriori” tipiche di associazioni o movimenti - come il fascismo - che incitino alla discriminazione per motivi razziali etnici o religiosi”. Delitto punito con il carcere fino a tre anni.