Milano, 4 novembre 2013 - Quattro mesi di carcere in più per minaccia aggravata dal metodo mafioso. «Loro mi vogliono fare morire... ma questa volta faccio morire io loro...», disse in siciliano stretto Totò Riina, ex capo dei capi di Cosa Nostra, oggi 83enne e pluriergastolano detenuto in regime di 41-bis. Ma le guardie carcerarie capirono, misero a verbale e adesso il tribunale milanese ha inflitto al boss l’ultima condanna della serie. Era il febbraio del 2010, e nel carcere di Opera avevano appena notificato a Riina l’ennesimo verdetto di condanna a vita, deciso in quel caso dai giudici di Caltanissetta per gli omicidi avvenuti oltre vent’anni prima di Giovanni Mungiovino, politico Dc che si era opposto alla mafia corleonese, Giuseppe Cammarata, imprenditore ennese scomparso nel 1989 e Salvatore Saitta, boss mafioso ucciso tre anni più tardi.

«Iddi mi vonnu fari moriri, ma stavolta i fazzu moriri io a iddi». Pronunciò quelle parole in dialetto davanti al capo della polizia penitenziaria, Totò detto ’u Curtu per via dell’altezza, ma la frase tradotta da un maresciallo che aveva lavorato in Sicilia finì sul tavolo del magistrato e da lì negli atti dell’ultimo (per ora) procedimento penale aperto nei suoi confronti. Per ottenere la condanna, l’accusa doveva provare che la minaccia di Riina in quanto tale fosse stata percepita dai destinatari (i giudici di Caltanissetta) che certo non erano presenti al momento in cui l’anziano capomafia profferiva le sue parole. E dunque il pm Piero Basilone ha provveduto a convocare come testimoni i vari componenti di quella corte d’assise, che hanno confermato di aver conosciuto, sia pur successivamente e dai giornali, il tenore di quel commento.

E anche se la minaccia proveniva da un ottantenne, quel vecchio era pur sempre un boss mafiso, hanno aggiunto. Così, nelle motivazioni della condanna, il tribunale osserva che «risulta pertanto grave il danno minacciato, anche tenendo conto delle condizioni particolari del soggetto agente». Quanto all’aggravante del metodo mafioso, c’era forse bisogno di provarla? «Il nome di Salvatore Riina incarna e rappresenta la storia di Cosa Nostra», si limitano a ricordare i giudici. Tuttavia, per il boss almeno una mezza assoluzione c’è stata: a proposito di una seconda minaccia relativa a quando, un paio di mesi dopo, l’europarlamentare Idv Sonia Alfano visitò il carcere di Opera e si informò sulle sue condizioni di vita. «Noi i deputati li fucileremo tutti, non fanno altro che prendere decisioni negative per noi...», disse in siciliano Totò ’u Curtu. Ma, secondo i giudici, in quel caso la minaccia era un po’ troppo generica.

di Mario Consani