Milano, 1 novembre 2013 - Svolta nelle indagini sul doppio omicidio dei fratelli Tatone. Gli investigatori della squadra mobile nelle ore successive all’agguato di via Lopez hanno fermato un sospettato e lo hanno messo sotto torchio per ore nel tentativo di fargli confessare i tre omicidi. Si tratta di un criminale di medio calibro, legato al clan Crisafulli, che si è fatto vent’anni di carcere con l’operazione «Terra bruciata», quella che nel ’94 spazzò via decine di boss e gregari che dettavano legge a Quarto Oggiaro, Baggio e piazza Prealpi. Uscito di galera, il pregiudicato si era rimesso in affari con i Tatone, un traffico di eroina di basso livello, degno di lui e di Emanuele, un inaffidabile messo ormai ai margini dalla sua stessa famiglia, che non conta quasi più nulla nella geografia criminale milanese.

Qualcosa, però, nel business rispolverato dell’eroina, si era inceppato, forse anche per via del carattere facile all’ira di Emanuele, sfinito dalla malattia e incline alle crisi isteriche. Da qui lo sgarro, una partita non pagata, soldi trattenuti, che hanno portato all’esecuzione di domenica. L’appuntamento tra i due è agli orti di Vialba, quel vecchio luogo che piaceva tanto alla ’ndrangheta, da cui perfino le volanti si tengono alla larga. Emanuele Tatone si avvicina al «socio», la lite furiosa e il killer si fa giustizia sparando in faccia e in testa all’ex boss. Poi tocca a Paolo Simone, lui nella storia è una comparsa senza ruolo. Viene ucciso semplicemente perché è nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Qui comincia la seconda parte della storia, che porta al terzo omicidio. Pasquale Tatone sa benissimo chi ha ucciso il fratello Emanuele e forse ha in mente di vendicarsi. Così il killer lo anticipa. Conosce benissimo i movimenti di Pasquale, lo aspetta sotto la pizzera di via Pascarella e giustizia anche lui. Sul movente, oltre all’ipotesi dello sgarro, ci sarebbero, secondo voci di quartiere, anche vecchi rancori legati a codici d’onore tra clan non rispettati. Soldi non versati per anni alla famiglia dell’uomo finito in carcere nell’operazione «Terra bruciata».

Mercoledì notte insieme a Pasquale c’erano anche due donne. Lui aveva cenato a casa e poi era andato al circolo per vedersi la partita. Le due ragazze, che stavano all’esterno della pizzeria, gli avevano chiesto di poter entrare in auto per ripararsi dalla pioggia. Lì erano rimaste un po’ per chiacchierare. Poi se ne erano andate, alle 22.30, proprio nel momento in cui Pasquale era uscito dal circolo ed era salito sulla Ford Fiesta.

Pochi attimi dopo, l’escuzione. Alcuni testimoni avrebbero visto il killer in sella a una moto grigia, tenere in pugno una grossa pistola (o un fucile a canne mozze) legata alla mano con una fascia adesiva. Probabilmente per non farla cadere a terra dopo aver sparato. Tre i colpi esplosi dall’assassino, che hanno raggiunto la vittima alla testa e al torace. Quando sono arrivati i soccorsi, Pasquale Tatone era nell’auto, accasciato sul sedile, morto.