Milano, 21 ottobre 2013 - Il buio, la pioggia, un’imprudenza, la velocità. E la tragedia su una piccola famiglia di origine egiziana, residente a Milano. Una donna di 29 anni, M.S.N. la sigla del nome, col suo fardello di sette mesi in pancia e con un bimbo di quattro anni alla mano, che attraversa la strada dove non si può né si dovrebbe, in quel viale Famagosta in cui alle sette di sera l’acqua che scende e l’oscurità non rallentano la velocità delle auto.

C’è la stazione della Mm2, là nei pressi, c’è un sottopassaggio per raggiungerla, ma per qualche motivo la donna sceglie di attraversare, per arrivare alla metro. E attraversa, indenne, la prima carreggiata, poi scavalca il new jersey che divide una strada a scorrimento veloce, e subito dopo - sono le 19,16 - un’auto la travolge. E’ una “Citroen Picasso”, alla guida c’è un ragazzo italiano di 28 anni: lui al momento neppure si accorge, ma ha avvertito un colpo sul paraurti, e torna indietro a controllare. Sarà l’investitore (negativo ai successivi alcol-test) a trovare la donna esanime, col suo pancione, a chiamare i soccorsi, e a non avvedersi, che, scaraventato 45 metri oltre e nascosto tra le due lastre del new jersey, c’è il corpo di un bimbo: l’altro, quattro anni.

Il 118 trasporta la donna al San Paolo: è incosciente, ma dai documenti si risale all’indirizzo, viene chiamato il marito. I medici praticano un cesareo, tentano ogni tecnica di rianimazione sulla giovane e sul feto, per ore, e senza mai un accenno di ritorno alla coscienza. E’ quando arriva il marito al pronto soccorso che la tragedia assume un corpo mostruoso: le vittime sono tre. L’uomo, stralunato, e assistito dagli psicologi, chiede: «Mio figlio dov’è? Era con la mamma». Ripartono fibrillate e disperate ricerche: il piccolo è da oltre un’ora là, immobile, dove l’auto l’ha buttato. E’ da allora in arresto cardiocircolatorio, e per un’altra ora si tenta di riportare, almeno lui, in vita. L’ultima speranza muore, sono da poco passate le dieci di sera.

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