Milano, 27 settembre 2013 - In aula, l’imputata non si è fatta vedere. Ha spiegato il suo legale: troppo pesante e infamante l’accusa che deve sopportare, considerate le sue condizioni di salute. È un processo a porte chiuse per presunti abusi e sopraffazioni, per l’ infanzia violata nel luogo che dovrebbe proteggerla: la scuola. Una specie di film dell’orrore dove la protagonista è una donna che però sembrava un uomo. Il sospetto terribile è che una bambina di appena tre anni sia stata violentata e maltrattata all’interno dell’asilo a cui era iscritta, due anni fa, e che l’orco non sia un uomo ma una donna «che coi bimbi si faceva passare per maschio togliendosi la parrucca che portava abitualmente», essendo sottoposta a trattamenti medici piuttosto pesanti. Alla sbarra c’è la segretaria della scuola, M.B, 54 anni, rinviata a giudizio con le accuse di violenza sessuale e percosse.

Ieri prima udienza davanti al quinta sezione del tribunale, si riprende il 10 dicembre dopo l’ammissione dei testimoni. Succede tutto nel luglio del 2011. L’ asilo è in un quartiere popoloso della periferia, aperto per il centro estivo a cui era iscritta anche la vittima, che chiameremo Anna. I genitori notano che la piccola diventa ogni giorno più inquieta, fino ad avere crisi di pianto ogni volta che torna a casa dall’asilo. Si preoccupano, si insospettiscono. Piano piano la bambina, con l’aiuto di uno psicologo, comincia a raccontare il suo incubo. Ed emergono, attraverso disegni e parole, le attenzioni morbose, le minacce e le botte - sculacciate nel bagno e schiaffi sulla testa - fino alla violenza sessuale vera e propria. Anna parla di un uomo e gli dà anche un nome: un uomo che entra nella stanza dei bimbi al momento del riposino, dalle 13,30 alle 14,30, e che si corica con loro «per le coccole».

In realtà, almeno nel caso di Anna, la piccola avrebbe subito abusi sessuali. Il 2 agosto i genitori sporgono denuncia alla vicina caserma dei carabinieri. Subito iniziano le indagini: i militari si concentrano sugli uomini che potevano avere accesso alle aule dell’istituto. Ma ogni tentativo di individuare possibili responsabili va a vuoto: nessun maschio poteva entrare nei locali riservati ai bambini. È a quel punto che i sospetti ricadono sulla segretaria, trent’anni di professione alle spalle: iniziò come maestra, salvo poi passare alla parte amministrativa per «problemi di salute». Le maestre la conoscono e si fidano: lei insiste per vegliare i bambini durante la nanna e loro la lasciano fare. La lasciano sola. I tasselli dell’indagine prendono corpo: i carabinieri scoprono che la donna era malata e aveva perso i capelli. Per questo indossava una parrucca, che poi toglieva quando entrava nella stanza del riposino.

di Agnese Pini