Milano, 10 settembre 2013 -  Sul tram giallo in corso Cavour o penzoloni dall’impalcatura dei nuovi grattacieli di Garibaldi, Antonio esercita la nuova professione del nostro tempo: il rimpiazzo. Vuoi stare coi bambini quache ora? Devi andare dal medico? Ci pensa Antonio Pane. Muratore, bibliotecario, cuoco, consegna-pizza. Charlot nei tempi moderni della crisi del terzo millennio, cerca un centro di gravità non permanente nella commedia che Gianni Amelio ha scritto sul corpo e per il sorriso di Antonio Albanese. «L’intrepido», che proprio ieri, tirate le somme del primo weekend, fa un balzo in classifica e aumenta le copie per il prossimo. L’altra sera Albanese era in sala a salutare il pubblico milanese.

Epifanio, l’ing. Perego, Alex Drastico, Pacifico. Ci mettiamo anche il signor Pane?
«Proprio così. Sono super d’accordo: anche se è scritto da Gianni, Antonio Pane è assolutamente uno dei miei personaggi. Guarda il nostro tempo per capire che cosa sta succedendo».

Come lo presenteresti?
«Me lo ha suggerito una giovane spettatrice alla Mostra di Venezia, dove abbiamo presentato il film in concorso: un rivoluzionario gentile».

Rivoluzionario?
«La rivoluzione oggi è resistere cercando un equilibrio, con dignità in mezzo all’ansia, ai problemi di sopravvivenza, tra gli ostacoli».

Ma non è un personaggio proprio reale.
«Pane può sembrare irreale, si serve di un procuratore per i contatti, non esiste uno che può rimpiazzare così tanti lavori, ma rappresenta qualcosa di assurdo e insieme vero. Sente una realtà, la attraversa. Ed è un padre che soffre per le difficoltà professionali del figlio. Cerca comunque un modo per affrontare tutto, in una città che può inghiottire e distruggere».

C’è qualcosa di biografico?
«Sono stato un figlio di operai, all’inizio è stata durissima, facevo un po’ di tutto, come questo personaggio. Per pagarmi l’affitto durante la scuola d’arte drammatica ho fatto l’imbianchino, il cameriere, il barista, ho sabbiato un edificio. Ero disperato, ma avevo un obiettivo».

In questa Milano incantierata e disoccupata, qual è l’obiettivo di Antonio Pane?
«Tecnicamente è un lavoro fisso. Pane, però, rappresenta un uomo che vuole stare bene, non perde la sua coerenza, si alza ogni mattina e va a cercare qualcosa da fare, il suo equilibrio è non perdere la speranza».

Quale Milano raccontate?
«È la Milano di questi giorni e insieme una Milano mai vista. Abbiamo scoperto luoghi poco conosciuti oppure appena nati, in centro come in periferia. Posso dire che ogni mattina ero contento di vedere Gianni per l’armonia che si era creata sul set, ma allo stesso modo ero contento di girare per la città a fare i ciak».

Dove?
«Un giorno eravamo al 24esimo piano di un grattacielo che fino a pochi mesi prima non esisteva. Da lì ti rendi conto della città che cambia anche sotto. Un altro giorno siamo entrati in un palazzo di Brera con un parco mozzafiato, un’altra epoca, che credevo scomparsa».

E poi, via alla guida di un tram...
«Fantastico. Ho fatto un corso accelerato con un tecnico dell’Atm, tra le vie della città. Guidare il tram a Milano è incredibile. Il tram è un mezzo meraviglioso, la gente che trasporti, il suono, la posizione dall’alto, gli scorci che attraversi. Tra i 20 interventi che faccio nel film questo è il più suggestivo. Ti senti un gladiatore metropolitano. Ora che ci penso, rimpiango una cosa del set».

Quale?
«Andavo a lavorare a piedi».