Milano, 3 luglio 2013 - Nome: Domenico Codispoti. Età: 48 anni. Provenienza: Milano. Segni particolari: beh, anche troppi. Cominciamo dal più incredibile. La sua casa, dalle 9 di sera alle 7 del mattino, ogni giorno dell’anno da quasi sette anni salvo piccole variazioni, è in via Vittor Pisani civico 22, ingresso discreto e un po’ asettico tipico dei palazzi abitati per la maggior parte da uffici. Se lo cercate, però, come fa tutte le notti la polizia, non dovete guardare fra i nomi illuminati del citofono. Basta fermarvi prima, a un passo dal portone. Codispoti sistema sacco a pelo e coperte sul marciapiede e si addormenta lì, al riparo di una telecamera di sorveglianza, insieme a due compagni di sventura.

La sua? Non tanto una scelta, quanto una necessità. Anzi, un vero e proprio obbligo di legge: «Io di qua non mi posso muovere, altrimenti finisco nei guai», spiega lui, allargando le braccia, pregiudicato — alle spalle un passato di furti, droga e rapine — e senza fissa dimora, mentre ripiega i pochi stracci del suo giaciglio improvvisato. Clochard, criminale, sbandato? Comunque lo si voglia etichettare, Codispoti oggi è, soprattutto, «un sorvegliato speciale», come lui stesso si definisce. In pratica significa che deve essere reperibile a un domicilio preciso, a cui le forze dell’ordine ogni sera possono trovarlo e controllarlo, come previsto dal tribunale. Con un unico problema: nel suo caso il domicilio è la strada. E malgrado l’esistenza da vigilato a vista — un’esistenza ai margini — ha sempre cercato di non arrendersi: «A cambiare ci ho provato un sacco di volte. E chi non ci ha provato fra i tanti che viviamo così? Disperati, siamo. Ma il lavoro non ce l’ho, e a me è difficile che qualcuno possa darlo. Un tetto non ce l’ho. E quindi eccomi qui. Costretto a passare le mie nottate sullo stesso angolo di strada, come da accordi con le forze dell’ordine». E se una sera non lo trovano? «Mi tocca tornare in carcere, diventerei automaticamente un evaso». Già, un evaso dal marciapiede. Succedono anche storie come questa, nella metropoli: degrado, abbandono, piccola criminalità, e assurdità della burocrazia. Paradosso del paradosso, il caso di Codispoti non è dato da un’emergenza contingente.

Il valzer di «controlli a domicilio» — dove per domicilio si intende la strada — va avanti da anni, ormai. «Precisamente da sette — spiega il suo avvocato, Andrea D’Amicis —. L’ordine di sorveglianza è stato emesso nel 2006 e ha durata di due anni. Ma Codispoti in questo periodo è entrato e uscito dal carcere svariate volte». Per questo la misura di «controllo preventivo» — come si dice tecnicamente — non è ancora conclusa. «Certo — fa notare il legale — si potrebbe provare a chiederne la revoca. Ma mettermi in contatto con il mio assistito non è semplice». E come potrebbe esserlo, nelle condizioni di Codispoti?
Lui, su questa sua storia un po’ tragica e ben più che assurda, riesce a farci anche ironia. Mentre si mette in spalla il sacco a pelo arrotolato, si volta verso il portone elegante alle sue spalle: «Io, Domenico Codispoti, vivo in via Vittor Pisani civico 22. Certo, detta così, potrei sembrare un uomo ricco. Guardate che palazzi, guardate che lusso».

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