Milano, 1 luglio 2013 - Non la voleva una figlia femmina. Così quando seppe che la moglie incinta aspettava proprio una bambina, quello fu un motivo in più per aggredirla, picchiarla, insultarla in tutti i modi possibili. Più che un matrimonio, un inferno quello descritto da Marika (nome di fantasia), una ragazza italiana che nel 2001 sposò Hulmi S., oggi 39 anni, origini siriane.

Un anno d’amore e poi l’inizio delle umiliazioni, delle vessazioni, degli episodi di violenza verbale e fisica. Un rapporto che si è trascinato per anni in un crescendo di episodi violenti, di aggressioni di Hulmi su Marika, che ha sopportato in silenzio a lungo, attaccata alla sua bambina, finché non ne ha potuto più. Alla fine lei si è presentata ai carabinieri e nella denuncia ha raccontato per filo e per segno le umiliazioni subite da quell’uomo, musulmano osservante, che nei sei anni di matrimonio non ha perso un’occasione per farla sentire una nullità, inadeguata a tutto, incapace persino di fare un figlio maschio.

Il tempo è passato, ma alla fine il gup Andrea Salemme ha rinviato a giudizio Hulmi per i maltrattamenti pesanti nei confronti della moglie. L’accusa da cui l’uomo deve difendersi è articolata. Nel capo d’imputazione si contestano “reiterate vessazioni morali, psicologiche e fisiche” ai danni di Marika, consistite “nell’aggredirla, e picchiarla in diverse occasioni , colpendola con schiaffi al volto e pugni, tirandole addosso oggetti, afferrandola e strattonandola e ciò anche quando la parte lesa era in stato interessante”. Anzi, più frequenti si fecero le aggressioni, contesta la procura, “non appena appreso che il nascituro era di sesso femminile”.

Pur nel freddo linguaggio giuridico c’è la descrizione tecnica di un incubo durato per anni. La lenta agonia di un rapporto amoroso che altro non era in realtà, secondo l’accusa, se non non una relazione semplicemente fondata sulla prepotenza e sulla sopraffazione fisica e psicologica. Hulmi non è comparso finora davanti al tribunale che lo deve giudicare. Marika invece ha ripercorso davanti ai giudici passo per passo il suo personalissimo inferno. «Sei una merda, non sai fare niente... non pulisci la casa... sei una poco di buono la offendeva quasi quotidianamente il marito prima di alzare le mani. Davanti al tribunale la ragazza ha raccontato uno per uno gli episodi e le offese subite. Ha ripetuto quelle frasi cattive che il marito le scagliava contro come fossero pietre: «Mi fai schifo... sei grassa...».

E il terrore non aveva tregua neppure quando Hulmi portava Marika in Siria dai suoi parenti, come quando l’afferrò per i capelli trascinandola e picchiandola con calci e pugni solo perché, si legge nel capo d’accusa, lei “era uscita in giardino a leggere un libro”. Lui del resto era fatto così, ha raccontato Marika davanti ai giudici, bastava niente per fargli scattare la reazione violenta. Ancora nel linguaggio tecnico dell’accusa: “limitandole aspirazioni e frequentazioni, privandola della necessaria affettività e considerazione all’interno della famiglia, instaurando un sistema di vita caratterizzato da violenza e prevaricazione morale, idoneo a ledere gravemente la dignità della persona offesa, cagionandole penose sofferenze, anche di ordine psicologico”.

Lui non si è ancora presentato davanti ai giudici che lo stanno processando, ma i suoi difensori hanno provato finora a minimizzare la condotta dell’uomo, negando le violenze, dove possibile, ponendo l’accento sul fatto che la ragazza non lavorando non era di alcun aiuto economico alla famiglia, e sostenendo che nel momento in cui aveva deciso di sposare un musulmano, Marika avrebbe dovuto mettere nel conto che certi suoi atteggiamenti avrebbero prodotto scontri e discussioni con il marito.