Milano, 10 aprile 2013 - Una storia d’amore lunga ottantadue anni è quasi un altopiano della memoria. E Concetto Bucceri, che proprio oggi compie novant’anni, ogni notte sogna la compagna di tutta una vita, scomparsa a novembre. I Concetti, come li chiamano con affetto le tre figlie, si erano scelti a Taormina, quando lei aveva quattro anni e lui sette. È il 1930 e qualcuno chiede alla piccola: «Chi ti piace di tutti questi bambini?». Senza esitazioni lei punta il dito proprio su Concetto. Da quel gesto nasce tutto, raccontano dei genitori Carmen e Nunzia, e da quel giorno giocheranno insieme.

Il primo bacio in spiaggia, di nascosto. Sono trascorsi dieci anni da quel dito puntato, lei ha 14 anni, lui 17. Ma è il 1940 e Concetto va in guerra. Solo per miracolo evita il fronte, finendo comunque a fare il panettiere per la fanteria, prima in Corsica, poi in Sardegna. In quattro anni di assenza appena può le scrive. Lettere, cartoline, pensieri. Dopo la Liberazione, contratta la malaria e finito in coma all’ospedale di Napoli, guarisce, torna a casa e riabbraccia Concetta.

Ma in sicilia non c’è lavoro. Così parte da solo per il Nord, dove scoprirà la neve. Lasciando libera Concetta. «Non volevo imporle di aspettarmi. Senza lavoro, non potevo darle un futuro». Arriva a Bernareggio, trova impieghi saltuari, alla cartiera e alle acque minerali, quindi fa il fuochista per caldaie a Milano. Passano otto lunghissimi anni in cui lui, bel moro del Sud, viene corteggiato senza ritegno. Ma a tutte dice: «Il mio cuore non è libero». Anche Concetta vede solo il suo fantasma.

Nel ’55 lo assume a tempo indeterminato la Vigilanza Città di Milano. Lui prende il treno, va dritto a casa di lei e la famiglia lo invita a pranzo. Quel giorno le chiede di sposarlo. Il 12 maggio ’56 i due sono in chiesa, subito dopo andranno a Roma in viaggio di nozze, per un giorno, poi poseranno le valigie in un abbaino di via Morgagni, a Milano.

Dal matrimonio, oltre a Carmen e Nunzia, nascerà anche Giusi e nel ’68 la famiglia si sposterà nella casa attuale di via Aselli, Città Studi. Concetta fa il mestiere che le hanno insegnato nell’infanzia, al Sud: cuce in casa, soprattutto occhielli per camicie. Sei anni fa, dopo alcuni malesseri, la diagnosi: fibrosi polmonare idiopatica, malattia rara e degenerativa delle vie respiratorie, che nella sua progressione toglie il fiato, fino a soffocare.

L’unica terapia è la bombola ad ossigeno, ma Concetta non perde la sua innata eleganza. Lui le è sempre accanto e ogni giorno, come sempre, al mattino per prima cosa le prende la mano: «Buongiorno, signora». Il caffè, servito con il cucchiaino e il latte, a letto. Un fiore. Mai una galanteria di meno. Fino a quel 2 novembre 2012, l’ultimo mattino. «Eri pura luce», scrive uno che le voleva bene, sul registro dei saluti. «È venuta meno la mia vita - dice Concetto - Mi sento sempre quel dito puntato addosso».

Le figlie provano a rincuorarlo. «Papà, ci siamo anche noi, siamo una parte di mamma». Lui abbozza mezzo sorriso. Al pomeriggio esce con loro a fare due passi, la vista gli impedisce di farlo da solo. Ha una gran fretta di ritrovare quello sguardo. Ma sa anche che ha tutta l’eternità per assaporare migliaia di ricordi, la luce tra le foglie, l’odore della neve, il caffè insieme. Il prossimo bacio, ad occhi chiusi.

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