Milano, 7 aprile 2013 - Sono in attesa della sentenza d’Appello, dopo anni passati a lottare per convivere con un dolore immenso: quello di due giovani genitori che perdono la loro piccola di appena un anno, lasciata morire di disidratazione durante un ricovero in ospedale. E mentre aspettano che la giustizia faccia il suo corso, una nuova terribile ombra si profilano adesso sulla storia di Rachel Odiase: quella del razzismo.

La piccola si sentì male una notte di tre anni fa: era il marzo del 2010. Improvvisi, violenti conati di vomito cominciarono a sconvolgere il corpo di Rachel, appena tredici mesi: inconfondibili origini africane sebbene cittadina italiana. Rachel morì nell’ospedale di Cernusco sul Naviglio, ma non per gravi compicazioni dovute al male, bensì per un motivo molto più banale, come sentenziarono i giudici nel processo che ne seguì: «Una disidratazione durante il ricovero». Una conclusione che ha avuto pesanti conseguenze per tre medici già condannati in primo grado per omicidio colposo. Ma ora, torna a farsi largo un sospetto ancora più terribile, che fa tornare nell’incubo la famiglia Odiase, papà Tommy in prima linea: che Rachel sia stata lasciata morire anche per colpa del colore della sua pelle.

«Un'ipotesi che era già venuta fuori nelle fasi preliminari delle indagini — conferma l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — ma era poi stata lasciata cadere in sede di dibattimento». Ora, però, il giudice Anna Maria Gatto, che ha condannato un terzo medico a quattro anni di reclusione, nelle motivazioni della sentenza scrive: «Il giudicante non osa neppure ipotizzare che al signor Odiase e a sua figlia siano state riservate queste modalità di “accoglienza” e cura perché stranieri, seppur cittadini italiani, e per di più di colore. E tuttavia non si può dimenticare che ben altro trattamento era stato riservato in quegli stessi giorni a bambini italiani che erano stati accompagnati dai genitori in pronto soccorso perché presentavano gli stessi sintomi di Rachel».

Solo un’ipotesi orribile, dunque, mentre si complica anche il quadro dell’inchiesta: nuove persone potrebbero infatti finire sotto indagine. Si tratta di alcuni infermieri che ebbero un ruolo nella prima fase della tragedia, quando il padre della piccola dovette protestare a lungo prima di riuscire a farla ricoverare. Sentiti come testimoni, la procura potrebbe indagarli per concorso nell’omicidio della bambina. «Noi intanto siamo in attesa dell’Appello — conclude l’avvocato —. La famiglia Odiase è rimasta soddisfatta di come si è concluso il primo grado di giudizio, e al momento non ci sono elementi per pensare che l’esito del secondo grado sia diverso».

Red.Mi.