Milano, 13 marzo 2013 – Acqua e terra. Davide Bernasconi è appena partito con «Teritoritur» e lo intreccia con un format tv di ricerca e testimonianza antropologica, come farebbe uno scrittore e poeta che maneggia come strumento di lavoro la chitarra («una via di mezzo fra la vanga e il mazzuolo») e trova la sintesi breve nelle sue canzoni. Davide Van De Sfroos risponde alla chat sbrigando subito la pratica concerti: parte il 28 da Verano Brianza, poi Como il 7 aprile, Saronno l’11, Bergamo il 17, Varese il 20, Concorezzo (Monza Brianza) il 28, Gallarate il 3 maggio. Sottolinea con il rosso il 6 e il 7 al Teatro Nazionale di Milano (chiude l’11 a Levico Terme). Viandante, cantautore e scrittore (romanzi e poesie), canta «il tremezzino o laghée che si parla a Mezzegra dal panettiere o al bar. Dialetto vivo di allevatori e contadini, barcaioli, pescatori e costruttori di motoscafi (i sepulton)».

 

Galleria di facce che entrano nelle storie ed escono dalle canzoni. «Anche con i loro silenzi da Cheyenne - continua Davide -. Il western che vedevo da ragazzino sulla tv svizzera al dopolavoro “Circolo Fratellanza” di Mezzegra. I suoi eroi non mi sembravano così diversi dai miei, che avevano fatto il contrabbando e la guerra partigiana (o al fronte). Tipi adusi a guatare il volo degli uccelli con atteggiamento atavico e sciamanico. I miei cowboy». Così nasce anche l’idea, «con Francesco De Gregori, di un western postatomico e crepuscolare con solo musicisti protagonisti. Zucchero ci sta». Lui del resto è «post punk dagli esordi e post wave fino all’ascolto di “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè, i Waterboys di Mike Scott e i Pogues. L’Irlanda del folk rock. Capisco la differenza di linguaggio fra la canzone folk e il rock. Come Guccini e Battisti, Dylan e gli Stones. Solo Bruce Springsteen ha tutte e due le cose». Definisce un metodo «cut up»: «Io tendo a dilatare e restringere, quel che resta è canzone. Molto cinematografico». Dal vivo aggiunge «mandolino, violino e fisarmonica, i due mantici. L’armonica, che sto sporcando nel senso disperato degli Hillbillies».

 

Antropologo alla Lomax, coinvolge i fan nella ricerca. «Teritoritur» è anche un modo di far emergere e riemergere storie, fatti, testimonianze della memoria, anche quella del presente. Tutti sono stati invitati a contribuire, faremo vedere i materiali, inviteremo qualcuno sul palco». Poi c’è il progetto «Acqua e terra», format di racconto collettivo e popolare, anche teatrale nel confronto fra testo e comunità. Ci sarebbe anche il jazz, «che mi attanaglia e appartiene, ma solo da fan. Penso a Stefano Bollani, Enrico Rava e Paolo Fresu. Joe Henderson e Joe Zawinul, Miles Davis e il sax sabbioso di Ben Webster, e Chet Baker, una voce che sembra una tromba e una tromba che sembra una voce, anche con i denti rotti. Volato una notte da una finestra ad Amsterdam». L’ultima nota della discesa di un angelo all’inferno.

 

di Marco Mangiarotti