di Nicola Palma

Milano, 18 ottobre 2012 — Un aereo extralusso. Con un cablaggio internet da due milioni di dollari. Da fare invidia a tutto il mondo. O quasi. «Ai tempi, solo un governo poteva contare su un sistema così sofisticato». È il Bombardier modello Challenger 604, il velivolo che don Luigi Verzé utilizzava per i suoi viaggi transoceanici. Del resto, il dominus del San Raffaele non amava i «normali check-in».

Così, tra il 2006 e il 2008 l’ormai arcinoto faccendiere Pierangelo Daccò e il suo (ex) braccio operativo Giancarlo Grenci si mettono all’opera per trovare un aereo «capace di fare 8-9 ore di volo per arrivare in Sudamerica e in particolare sulle coste brasiliane». Come venne chiesto a Michele Di Leo, uno dei consulenti contattati per l’affare. Poi, spiega l’altro esperto Carlo Sari, Daccò è uscito di scena: la trattativa fu portata avanti prima da Grenci, «che era il fiduciario di Daccò e che trovò la società svizzera che serviva per la compravendita», poi da Mario Cal, l’allora vicepresidente della Fondazione Monte Tabor.

Passaggi ricostruiti ieri nei dettagli da Sari e Di Leo, chiamati a testimoniare nel processo che vede alla sbarra, tra gli altri, i due imprenditori Pierino e Gianluca Zammarchi, accusati di aver sovrafatturato le forniture all’ospedale per poi retrocedere soldi in nero alle casse di via Olgettina. Secondo l’accusa, una delle dissipazioni più ingenti del patrimonio si è concretizzata proprio con l’acquisto del Challenger 604: tra permessi aerei tutti da rifare, modifiche interne e consulenze fasulle (2,1 milioni a una società riconducibile a Daccò per aver stampato cinque pagine da un sito web), il prezzo si è quasi triplicato (da 13 a più di 35 milioni di euro).

Sì, perché, come ha ricordato in aula Sari, l’aereo acquistato da una società americana non aveva neppure le autorizzazioni necessarie per volare in Europa: questo ha reso necessari costosi interventi strutturali per ottemperare alle regole continentali. Certo, poi don Verzé ci ha messo decisamente del suo: «Ci fu ordinato — afferma il consulente — di montare un sistema di connessione che non interferisse con le apparecchiature di volo». E «di aumentare — aggiunge Di Leo — il numero di posti da 9 a 11, con l’aggiunta di quattro poltrone e un tavolo». Costo dell’operazione? «Due milioni di dollari».

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