di Nicola Palma

Milano, 30 settembre 2012 — «Pare stia già meglio: mi hanno detto che risponde agli stimoli, ha mosso la testa e aperto gli occhi, anche se i medici restano cauti sugli eventuali danni cerebrali». Teresa Puntillo è in costante contatto col reparto di Rianimazione dell’ospedale San Paolo, dove è ricoverato il suo ex marito Giancarlo Giusti, in coma farmalogico dopo il tentato suicidio, venerdì pomeriggio, nella sua cella singola della sezione K del carcere di Opera.

«Evidentemente non ha retto il peso della sentenza», continua Puntillo. Sì, perché ventiquattro ore prima l’ex gip di Palmi, arrestato lo scorso 28 marzo nell’ambito di un blitz anti ’ndrangheta coordinato dal pm Ilda Boccassini, era stato condannato a quattro anni di reclusione per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa: secondo l’accusa, il magistrato avrebbe favorito gli interessi del clan Valle-Lampada in cambio del pagamento di soggiorni con prostitute all’hotel Brun.

«Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo sentiti nei giorni scorsi — racconta Teresa — ma purtroppo non è stato possibile parlarci al telefono. Così lui ha voluto mandare un telegramma di scuse ai nostri figli». Si scrivono spesso, Giancarlo e Teresa («Ho un pacco di lettere alto così»), nonostante le notti con le escort, definite dall’ex giudice calabrese «debolezze umane», abbiano inevitabilmente incrinato il rapporto matrimoniale, tanto da portare alla separazione. «Gli sono sempre rimasta accanto, seppur restando giù in Calabria, soprattutto nel primo periodo, quando ha passato il momento più difficile della sua vita: dietro le sbarre, lontano dalla sua famiglia».

Negli ultimi tempi, però, Giusti, 45 anni, sembrava essersi ambientato: «Mi diceva di stare tranquilla perché si era fatto tante amicizie: organizzavano anche delle cene insieme». Giancarlo si era pure messo a far palestra per tenersi in forma, aveva confidato a un amico meno di una settimana fa. Poi il verdetto del gip Alessandra Simion. E il gesto estremo. Con un biglietto a spiegarne i motivi: «Sono stato abbandonato da mia moglie, dai miei figli. Sono deluso dalla giustizia».

«L’ultima parte del messaggio — commenta Teresa, avvocato di 40 anni che ha anche difeso Giusti come legale di fiducia fino al primo interrogatorio — potrebbe essere legata al fatto che lui si aspettava una pena decisamente più lieve e l’eliminazione dell’aggravante della finalità mafiosa. Io non nutrivo la medesima speranza, ma evidentemente lui, nonostante resti un brillantissimo giurista, non era in grado di pensare in maniera lucida alla sua posizione processuale». E la prima parte? «Quella onestamente non la capisco: non l’abbiamo mai abbandonato, anzi io avevo già organizzato tutto per venirlo a trovare a inizio ottobre. Gli avevo preannunciato una sorpresa, ma lui non m’ha voluta aspettare... — prova a sorridere Puntillo — Ora dovrà sorbirsi le mie reprimende: ho anticipato tutti i miei impegni professionali per il viaggio, tra qualche giorno sarò a Milano e spero di trovarlo bene».

E i suoi figli? «Ovviamente questa vicenda ha causato loro tanto dolore: pensi che il più grande, che deve ancora compiere quattordici anni, ha avuto pure la sfortuna di assistere alla perquisizione e all’arresto del padre». Tuttavia, «ho sempre fatto in modo che non lo dimenticassero: gli hanno scritto solo un paio di volte, è vero, ma credo che Giancarlo abbia compreso bene il perché». Ora, però, «l’importante è che si riprenda al più presto: noi gli saremo vicini».

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