Milano, 4 settembre 2012 - L’otto ottobre 2001. Un piccolo aereo si scontra con un jet in partenza sulla pista del decollo dell’aereporto di Linate. Una tragedia: 118 morti. (Dopo le indagini sono arrivate le condanne ai responsabili di quella immane tragedia.)
La città scossa, in ginocchio per una strage che non si poteva imputare alla fatalità. Anzi. Anche in quella circostanza il cardinale Martini sente il dovere di parlare alla città, con parole chiare.

Parole di conforto ma anche una energica richiesta di verità e giustizia. E accuse per la «tragica serie di errori negligenze e fatalità» che in una giornata tranquilla «ci ha fatto entrare improvvisamente lunedì scorso in una situazione di buio lacrime lacerazioni e lutti», come dirà poi nell’omelia in duomo, due giorni dopo il disastro. Ma il cardinale non aveva aspettato la messa, appresa la ferale notizia si era precipitato in aereoporto quando ancora erano in corso le operazione di recupero dei corpi martoriati.

«Si accumulano le tragedie e le sofferenze - aveva commentato senza nascondere la commozione -. Dobbiamo avere la forza di camminare dentro di esse senza perdere la speranza e affidandoci alla preghiera».
Prima nella camera ardente, poi sulla pista fra i resti ancora fumanti dei due velicoli e infine l’incontro con i parenti delle vittime.
«A loro — aveva aggiunto il porporato — vorrei dire una parola di partecipazione e vicinanza anche se in un momento così terribile le parole valgono poco».

Poi la messa solenne in Duomo, con la cattedrale gremita di persone, parenti, amici, lavoratori della Sea. Martini non si smentisce, non ricorre alle parole di circostanza.
Il cardinale accusa chi non ha vigilato ma insieme consola tutti coloro che due giorni prima «hanno visto e hanno ancora nella mente una visione spaventosa di dolore e di morte».
Consola chi è rimasto ma ammonisce chi ha il potere, chi gestisce la cosa pubblica e quella privata, perchè «non c’è ragione logica di una morte e di una tale morte; se non la nostra fragilità esistenziale e i nostri errori».
E il tono del cardinale-arcivescovo si fa ancora più severo; mentre nella navata centrale anche l’aria sembra fermarsi.

Il cardinale Carlo Maria Martini nell’omelia esorta perché «tali errori mai più si ripetano» e invita alla speranza: «I nostri cari defunti hanno un cuore più grande del nostro proprio perché passato per la prova e purificato nel fuoco della sofferenza» poi ancora: «Per questo possiamo sentirli anche ora misteriosamente presenti e oranti con noi di fronte a quel mistero della morte che non è mai l’ultima parola della storia».

Un periodo triste, quegli ultimi mesi del 2001, segnati dall’attentato delle Torri gemelle a New York, per mano dei fanatici musulmani.
Il cardinale aveva già annunciato l’addio alla città e il suo ritiro a Gerusalemme, con la forza di una presenza che ha segnato la Milano tormentata di fine millennio. Evoca «questi momenti di buio che ritornano nella storia». Cita la lettura del Vangelo secondo Luca che parlando della morte di Gesù; dice: «Il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra...».

Un buio che ha ricoperto la terra un mese fa quando due aerei anche là tragici protagonisti travolsero le Twin Towers e la fiducia del mondo occidentale nel proprio futuro.
Ma è la conclusione dell’omelia del cardinale Martini a dare il senso della speranza: «La lettura dell’Apocalisse ci ha consegnato una consolante profezia: Iddio con loro tergerà ogni lacrima dai loro occhi non ci sarà più la morte né lutto né lamento né affanno».

di Tino Fiammetta