Milano, 2 settembre 2012 - «Ci volle del bello e del buono per convincere il cardinale a chiamare il prefetto e a non portare quelle borse in cantina...». A distanza di 28 anni, Ernesto Balducchi racconta il retroscena legato alla consegna delle armi dei Co.Co.Ri. in Arcivescovado, avvenuta il 13 giugno del 1984: «Me l’ha rivelato scherzando il suo segretario don Paolo Cortesi». Cioè il religioso a cui furono materialmente affidate le tre borse contenenti l’arsenale che il gruppo dirigente dei Comitati comunisti rivoluzionari, formazione terroristica di estrema sinistra, aveva deciso di consegnare a Carlo Maria Martini come «segno di resa». Oggi Balducchi, uscito di prigione nell’85, è titolare di Radio Service srl, un’agenzia di consegne rapide: «Senza il cardinale, il mio percorso riabilitativo sarebbe stato molto più lungo e difficile».

Perché sceglieste di consegnare le armi a Martini?
«Perché avevamo trovato in lui una persona attenta alle nostre istanze. In particolare, apprezzai molto un suo intervento a un convegno organizzato a Palermo sulla dimensione sociale del peccato. Era il 1983 e io mi trovavo a Rebibbia: decisi di scrivergli una lettera, e con mia grande sorpresa, lui rispose, dimostrando straordinaria sensibilità».

E allora?
«Iniziai a pensare a quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto. Al di là di quell’apertura, infatti, c’erano solo le Procure, che ci chiedevano nomi e cognomi di altri compagni da arrestare in cambio dei benefici garantiti dalla legge sui pentiti. Ma a noi del gruppo dirigente non andava di tirare dentro gente coinvolta solo marginalmente. Decidemmo così di consegnare le armi a Martini per mostrare a tutti che avevamo voglia di cambiare, che avevamo chiuso con la lotta armata e che ci si poteva fidare. Decisione preannunciata dalla mia seconda lettera all’arcivescovo, inviata nel 1984 da San Vittore».

Ha poi visto Martini?
«Sì, diverse volte. Mi ricordo in particolare la prima: lui accettò di incontrarmi appena uscito dal carcere. Mi colpì perché si mostrò desideroso di conoscermi, di capirmi, anche dal punto di vista strettamente personale».

Quanto ha inciso Martini sulla sua vita?
«Direi molto. In quegli anni, la sua sponda ci diede credibilità anche con le altre istituzioni. Basti ricordare che il processo si concluse con la concessione delle attenuanti: pur non avendo consegnato quelle armi al Tribunale, i giudici non poterono non prendere atto di quel gesto ed evitarono di darci l’ergastolo. In pratica, ci venne riconosciuta la possibilità di un fine pena, lontano forse ma pur sempre possibile. Soprattutto grazie al cardinale Martini: con lui se ne va un grande riferimento culturale, in particolare sul tema della giustizia nel mondo».

di Nicola Palma

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