di Giambattista Anastasio

Milano, 27 agosto 2012 — C’è un lato della stazione di Porta Garibaldi che sembra essere rimasto fermo a decenni fa. Quando le stazioni, più di oggi, erano luogo comune di prostituzione, spaccio, ladri del quartierino, senzatetto. Luogo comune di vite storte. Quasi il retrobottega dimenticato di quella che, specie di notte, sembra un centro commerciale lasciato aperto da un custode distratto più che una stazione. Complici le vetrine, tutte accese, dei negozi che negli anni vi hanno trovato spazio, l’interno dello scalo di Porta Garibaldi è infatti illuminato a giorno. Pulito nonostante l’ora: le 22.30 spaccate. Poche anime e molto silenzio intorno ai tabelloni che segnano gli arrivi e le partenze dei treni.

I quattro tassisti appostati davanti all’ingresso principale scuotono il capo: «Qui di notte è tutto tranquillo. Troppo, forse: pochi treni, pochi clienti, poco lavoro». Due poliziotti perlustrano le banchine e le ampie sale d’aspetto. Presidio fisso delle stazioni. Due in una nel caso di Porta Garibaldi, che è anche scalo del passante ferroviario. È dirigendosi verso i tornelli del passante che ci si avvicina al lato dimenticato dello scalo. Per trovarvisi nel mezzo basta prendere l’uscita che dà su via Pepe e percorrere la via fino al passaggio pedonale sopraelevato che sbocca su via Farini.

La rete che fino ad allora aveva separato il marciapiede dai binari, metri più sotto, qui è divelta. C’è un cancello senza lucchetti, solo socchiuso. Basta appogiarvi un dito per aprirlo e ritrovarsi così sulla scaletta che porta nel bel mezzo dei binari. Un’entrata secondaria, l’ingresso sul retro. Le banchine d’attesa terminano metri prima: si è nel cuore del movimento-treni. È il cancello che consente ai senzatetto di raggiungere le panche in marmo all’estremità più periferica delle banchine.

Tracce di presenza umana si notano a ridosso degli stessi binari: sacchetti e contenitori di cibo vuoti, vecchie scarpe e coperte. Sono da poco passate le 23 quando lungo quella scaletta si avventura un giovanissino cinese. Ben vestito, i capelli sparati al vento stile rockstar. Scende la scaletta, raggiunge i binari e lì, tra i sassi e i binare, prende a cercare chissà cosa. Di tanto in tanto guarda con circospezione verso l’alto, verso il marciapiede dove, in realtà, non passa nessuno. Seguirlo con lo sguardo è possibile solo finché il buio non ha la meglio. Riemergerà solo mezz’ora più tardi. Per sparire verso via Farini.

Nel frattempo, proprio vicino al cancello si ferma un’auto. Scende un uomo sulla mezza età: infradito, pantaloncini e maglietta. Saluta l’auto che se ne va, quindi si appoggia alla rete dando le spalle alle strade. Si cala i pantaloncini quanto basta per lasciare nude le natiche e resta lì, così, in attesa. Ancheggia avanti e indietro. Si guarda intorno.

«Quel cancello? Da lì vediamo entrare ogni tipo di persone» fa sapere un residente prima che la pioggia costringa il passeggiatore smutandato ad andarsene. Tra mille improperi rivolti al cielo. Senzatetto bisognosi di una panca come letto, incontri clandestini a pagamento tra i binari, ma, a quanto pare, anche ladri di rame. Quel cancello chissà da quanto tempo violato come ingresso riservato a chi vive del favore della notte. Mentre dalle vetrine all’interno dello scalo scintillano scarpe all’ultima moda e i nuovissimi uffici di Italo ricordano che è finita un’era, quella del monopolio delle Ferrovie, quest’angolo di via Pepe resiste: l’altro lato della stazione di Porta Garibaldi.

Un’angolo rimasto immune dal restyling dello scalo. Solo pochi altri spazi, tra quelli nei dintorni della stazione, sono rimasti quelli di qualche decennio fa. Sul lato opposto dello scalo, quello che dà su via Sturzo, complici i cantieri, si contano solo un paio di clochard. Uno di questi, cappello nero ben calcato sulla testa nonostante l’afa, dorme tra un cumulo di sacchetti di plastica, borse e anche valigie. Su una di queste c’è una pila di giornali. Apre rapido un occhio quando sente passi in avvicinamento. Con altrettanta rapidità lo richiude. Uno sguardo, allora, a quella torre di carta stampata: cronache datate.

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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