di Mario Consani

Milano, 24 agosto 2012 — Anche il presidente della Repubblica aveva ricevuto un sollecito di pagamento come migliaia di altre vittime della frode informatica. Poi gli hacker hanno cambiato nome al sito, ma la truffa era rimasta la stessa. E così la procura ha chiesto e ottenuto il sequestro preventivo anche del nuovo “indirizzo” italia-programmi.org, che continuava a fare quello che faceva prima quando si chiamava italia-programmi.net: offrire a pagamento (con il trucco) ciò che sul web potevi trovare gratis.

I suoi inventori (tuttora senza nome) erano balzati agli onori della cronaca qualche mese fa, quando tra i bersagli dell’inganno telematico pareva ci fosse anche l’inquilino del Quirinale. In realtà si è poi scoperto essersi trattato di un cliente buontempone che, mangiata la foglia, al momento di lasciare le generalità aveva declinato per scherzo quelle di Giorgio Napolitano. Ma la procura milanese aveva già chiesto da tempo l’oscuramento del sito, scattato a fine aprile. Però gli ingegnosi truffatori, trasferendo i propri conti dalle Seychelles ad una banca cipriota, ci hanno messo poco a riaprire i battenti con il “nuovo” nome italia-programmi.org. E stavolta chi non pagava riceveva mail di diffida firmate da un legale di Roma, in realtà defunto. In molti ci sono ri-cascati. Ma da un paio di settimane anche italia-programmi.org non può più far danni, perché il giudice Cristina Di Censo ha oscurato anche quello, su richiesta del pm Francesco Cajani.

Il meccanismo della truffa, per la quale sono scattate a migliaia denunce da ogni parte d’Italia, è stato puntualmente ricostruito dagli uomini della squadra reati informatici di polizia giudiziaria presso la procura milanese. Italia-programmi, in entrambe le versioni, offriva la possibilità di “scaricare” programmi o aggiornamenti che sul web erano gratuiti, facendo però sottoscrivere (con un clic) ai “naviganti” l’impegno a pagarli 97 euro. Ma perché gli utenti finivano nella rete così apparentemente visibile? Perché gli ideatori della truffa avevano acquistato da Google delle “tag”. Così, in pratica, quando un navigatore voleva scaricare gratis quel certo programma o quell’altro aggiornamento, li cercava scrivendo il loro nomi sul più usato motore di ricerca. E ai primi posti dei risultati ottenuti compariva proprio l’offerta di italia-programmi.

E lì scattava la truffa, perché l’operazione appariva gratutita (come doveva essere), ma in realtà il gestore del sito faceva accettare con il clic una serie di clausole scritte in piccolissimo e che prevedevano il pagamento. Così una volta eseguito il “download”, ai clienti arrivano mail di sollecito a pagare i 97 euro previsti dal truffaldino canone annuo. Nella versione più recente, la diffida si materializzava anche su carta intestata di un avvocato romano in realtà defunto da un pezzo. In migliaia di utenti però hanno onorato l’impegno sentendosi in obbligo e senza annusare la truffa. Per la felicità degli hacker arricchitisi senza alcuno sforzo e tuttora titolari di conti correnti nelle banche di meravigliose isole sparse per il mondo.