Milano, 4 luglio 2012 - «Non so dire se quelle firme siano vere o false». Finisse qui, potrebbe sembrare una mezza ammissione. Ma Guido Podestà un attimo dopo aggiunge: «Non lo so perché non me ne sono occupato. Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso». È, questa, la linea sempre tenuta dal presidente della Provincia. Che poi assicura: «Ne uscirò innocente».

Così il numero uno di Palazzo Isimbardi commenta la richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei suoi confronti dal procutarore aggiunto Alfredo Robledo nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte irregolarità nella raccolta delle firme utili a sostenere la candidatura del listino «Per la Lombardia» di Roberto Formigoni alle ultime elezioni regionali, quelle del 2010. In quel listino fu inserita anche Nicole Minetti, ora consigliere regionale indagata per favoreggiamento della prostituzione nel Ruby-gate.

All’epoca dei fatti Podestà era coordinatore regionale del Pdl. Ed è in questa veste che dovrà rispondere, nel caso il gup Stefania Donadeo accogliesse la richiesta di rinvio a giudizio, di «falso ideologico continuato ed aggravato». Detto altrimenti, secondo l’accusa Podestà sarebbe stato il promtore della presunta falsificazione di 926 firme. A sollevare il caso furono, tramite un esposto in procura, i Radicali, che dopo essersi rivolti ai tribunali amministrativi per chiedere l’annullamento delle elezioni, si erano presentati con tre scatoloni contenenti oltre 500 firme da loro ritenute false. La procura aveva poi disposto una perizia e il 90 per cento delle oltre mille persone contattate non ha di fatto riconosciuto quelle firme come proprie. Il 27 aprile la chiusura delle indagini, il prossimo 12 ottobre l’udienza preliminare davanti al gup.

A inguaiare Podestà sono le dichiarazioni messe a verbale il 24 novembre 2011 da Clotilde Strada, ora portavoce e collaboratrice della Minetti, nel 2010 responsabile della raccolta firme per il Pdl. La sera del 26 febbraio 2010, a poche ore dalla scadenza per la presentazione delle liste elettorali, la Strada, secondo quanto da lei stessa raccontato agli inquirenti, una volta giunto Podestà nella sede del Pdl, in viale Monza, lo avrebbe informato della difficoltà a raccogliere tutte le firme necessarie al listino.

La risposta dell’allora coordinatore regionale? «Podestà — ha riferito la Strada — mi guardò e mi disse: avete i certificati elettorali, usateli». Un invito a falsificare le firme. Ma Podestà smentisce. «Non so di che si stia parlando. Altri nel Pdl si occupavano delle firme, e da ben 15 anni. È evidente che il pm ha dato fede a quanto dichiarato da una persona (il riferimento è alla Strada ndr) ma non ho dubbi che si acclarerà la mia estraneità ai fatti».

«Vi pare — si difende Podestà rivolto ai cronisti — che se davvero alle 22 di quel 26 febbraio mi fosse stato detto che c’erano problemi a raccogliere le firme, non mi sarei attivato a fare telefonate per trovare 50 nostri amici che potessero procurarcele? Invece sono andato a casa, perché il clima era disteso e quasi euforico, nessuno mi riferì problemi». In sua difesa, ecco Formigoni: «Podestà ha già spiegato la sua estraneità alla vicenda e gli esprimo la mia solidarietà. Questi fatti spiacevoli dimostrano comunque che non è il presidente candidato il responsabile delle firme, ma il partito e sono convinto che il partito abbia agito correttamente».
giambattista.anastasio@ilgiorno.net