Milano, 24 marzo 2012 - Da assistente a commesso. Da commesso a proprietario. Da proprietario, e piccolo imprenditore della musica, a barista. L’altalena professionale di Angelo Rieti, di “Mariposa” in corso Lodi, si adatta come un’impronta ai mutamenti della società. Per restare sul mercato Rieti ha strappato con il passato glorioso del suo negozio di dischi, nato negli anni Settanta nei locali di Radio Porta Romana: fino agli anni Novanta “Mariposa” è stato un punto di riferimento assoluto per i rockettari milanesi, ma ora è diventato un bar. Al posto di vinili, dvd e libri oggi ci sono brioches, pizzette e gelati artigianali. Cibo al posto della cultura: «La crisi mi ha dato la spinta decisiva per cambiare – spiega Rieti -. La vera trasformazione nel mondo dei dischi, infatti, era già iniziata dieci anni fa con internet, che ha abbattuto gli incassi della musica e reso antieconomico investire in questo campo».
 

Lei quindi è vittima di Napster, Emule e Youtube?
«Solo in parte, perché il web ha arricchito anche me. Trovare enciclopedie, film e la Cnn on line gratis mi ha aperto la mente. Ho capito da quale parte stava andando il mio mondo».
 

Ovvero?
«Non c’è più gente disposta a spendere per la musica e quindi è inutile restare attaccati al vecchio modo di lavorare. Il web ha reso tutto più veloce e disponibile. Negli anni Ottanta andavo fino a Londra per cercare le novità. C’era un negozio di dischi ogni cento metri, ma ora anche lì sono tutti chiusi. La musica era una questione di attesa e ricerca. Si veniva nei negozi a scartabellare fra gli Lp. Ora basta un clic per ascoltare le note preferite».
 

Crede che la tecnologia sia un male per la cultura?
«No, anzi è bellissima. Il problema sono le major, che dominano il mercato e rischiano di appiattire gli stili musicali».
 

Come ha iniziato in carriera?
«Accompagnando un agente di commercio che vendeva dischi. Poi sono entrato come commesso da “Mariposa” e col tempo ho preso in mano la situazione con un socio, diventandone proprietario».
 

Dalla musica al caffè: c’è meno qualità nel suo lavoro?
«Vendere dischi implica una continua ricerca di settore, l’aggiornamento costante, l’informazione e una cultura artistica. La sfida con il mercato è più difficile rispetto a una caffetteria. Al cibo non si rinuncia mai. È chiaro che una volta allestito il locale, non si è costretti a dover intuire nuove tendenze in fatto di brioches o panini. L’evoluzione non è la stessa».L’insegna? Una tazza, ma è rimasto anche il disco.
 

di Daniele Monaco