Inverigo, 4 marzo 2012 - Una vita costellata di silenzi e solitudini, soprattutto negli ultimi anni, quella di Gaetano Gnudi, il pensionato che venerdì sera è stato sbranato da un branco di caniin via Martirano, nella periferia di Milano. « Povero Gaetano, in tre anni ha perso prima la moglie e poi il fratello. Adesso questa fine orrenda, non ci posso ancora credere». Non ha parole Vittorio Vergani, al quale è toccato apprendere della morte del cognato dai carabinieri che in tarda serata sono venuti a bussare alla sua porta.

«Avevo sentito al telegiornale che un uomo era stato aggredito da un branco di cani a Milano ma lì per lì non c'ero stato sopra. Nei io ne mia moglie abbiamo pensato a Gaetano, lui viveva a Milano ma in via Mac Mahon, non in periferia. Figurarsi che quando gli uomini dell'Arma sono venuti per dircelo all'inizio ho pensato fosse capitato qualcosa a mia figlia ». Nessuno pensava al signor Gaetano che dal paese se n'era andato un paio di anni fa, nell'aprile del 2009. «Era morto suo fratello Nando e siccome era rimasto vedovo aveva preferito trasferirsi a Milano. Anche se in paese aveva vissuto per 23 anni alla fine il suo mondo era Sandra, era per far contenta lei che aveva deciso di prendere casa qui» .

Nella bella villa di via San Biagio adesso fervono i lavori di restauro, ogni tanto a seguirli arrivava anche Gaetano Gnudi da Milano che ne approfittava per far visita ai parenti rimasti in paese. «L'ultima volta era venuto due settimane fa per un funerale, poi una telefonata la settimana dopo. Ieri sera stavo giusto dicendo a mia moglie che era il caso di fargli un colpo di telefono. Morire così è una cosa inumana, senza nessuno che si è fatto avanti per aiutarlo. Mi parlava qualche volta di un amico che stava a Trezzano sul Naviglio, non so se ieri era andato a trovare lui». Amante delle lunghe passeggiate, con l'hobby della pesca e del restauro di mobili Gaetano Gnudi era un uomo tranquillo. «Non ce lo fanno neppure vedere, hanno detto che i cani lo hanno sfigurato. È davvero terribile».

di Roberto Canali